Regia di Alessandra Celesia vedi scheda film
Ci sono dei piccoli film che riescono con la loro dolcezza, il loro garbo, la loro assoluta genuinità ed umiltà a toccarti il cuore e
rendertelo più leggero in qualche modo. Sono come una carezza. E uno una carezza può riceverla per un lutto, per amore, per affetto, per amicizia o per quello che vuoi, ma una carezza rimane una carezza ed è sempre bella.
Still Life ad esempio parlava di morte ma era una carezza dolcissima.
E questo piccolissimo documentario, che non so perchè mi ha rimandato proprio a Still Life, fa altrettanto.
Buffo come entrambi questi due film siano stati girati da "italiani" trapiantati all'estero, Uberto Pasolini in Inghilterra, Alessandra Celesia (la regista de Il Libraio di Belfast) in Irlanda del nord.
Forse ci voleva un pò del nostro cuore italiano per far uscire dalle nebbie britanniche questi due gioiellini.
John (stesso nome di Still Life...) Clancy è un ottantenne ex libraio.
Intorno a lui gravitano tre ragazzi, una cameriera che sogna di diventare cantante e due fratelli, uno rapper, l'altro disoccupato ma con tanta voglia di non buttarsi via.
E questo qui, l'accostare -apparentemente senza un preciso motivo- un 80enne a tre ventenni è solo uno dei tantissimi contrasti che ho notato in questo affascinante mediometraggio (54 minuti).
Il film, che in realtà è un documentario ma abbastanza costruito drammaturgicamente da renderlo quasi cinema, è infatti un continuo gioco di opposti, di contrasti.
E così nella prima scena vediamo John che tratta un libro come fosse un bambino e nella seconda Jolene (la ragazza) che gli parla di Facebok.
C'è poi il contrasto tra John, persona di una cultura immensa acquisita in una vita intera e Robert, il ragazzo che legge tenendo un foglio sotto le righe per andare dritto e non conosce il significato di alcune parole.
Personalmente ho trovato queste scene di una forza grezza magnifica, vedere questo ragazzo con la cresta che tenta di leggere a voce alta mettendo un "non la so" in una parola ogni 4 è straordinario, dà quella sensazione di approccio alla cultura da zero, quella voglia malgrado tutti i propri limiti e le proprie difficoltà, di conoscere, imparare, capire, l'essenza dell'apprendimento.
E la regista in questo gioca ancora su dei contrasti perchè mentre John, chiamato John il Libro da quanto la sia vita sia stata indissolubilmente legata ai testi, mentre John dicevo legge Bambi, Robert, il ragazzo punk che fatica a leggere, legge dell'Antica Roma, magnifico.
Ma non finisce qui il gioco degli opposti. E così dopo la scena in cui John ascolta leggere una poesia davanti a degli anziani ciechi c'è Connor, il fratello di Robert, che canta il suo primo pezzo rap, ossia la musica che in qualche modo ha tentato si sostituire la poesia nei nostri anni.
Ma ancora contrasti e contrasti, come quello tra la magia dell'arte, del racconto, della parola e la storia di Belfast fatta di polvere da sparo, di urla, di proteste, di giovani vite perdute e di bombe che esplodono.
O il contrasto tra Robert che corre con i roller nella nebbia e nella notte di Belfast mentre in sottofondo c'è l'opera di Puccini che il ragazzo sta ascoltando.
Il film è anacronismo in ogni sua inquadratura.
E John ne è la personificazione, una persona dai modi gentili, garbati, ma non incapace di sprizzare una vitalità straordinaria, un'ironia affatto stantia. John è ancorato nel suo passato ma è perfettamente integrato al presente. E pure al futuro se vogliamo, alla voglia di sognare.
E legge Bambi perchè ha ancora voglia di meravigliarsi come un bambino.
John che sta con i ventenni e sa sia ascoltarli che parlargli, John che tratta i libri e il suo lavoro come una passione e una specie di missione (e, scusate l'intromissione personale ma sentirlo parlare della sua libreria mi ha portato in maniera impressionante alla mia videoteca, a quei film che come i suoi libri andavano e non tornavano, ai soldi che non venivano chiesti, alla voglia di condividere una passione senza pensare minimamente al guadagno), John che dorme nel letto dove è morta sua madre, John che ha rischiato di morire per colpa dell'alcool, John che ama la vita, ama i suoi libri, ama la bellezza che si cela nelle parole e nel racconto, e quanto è bello sentirlo parlare, sentirlo leggere o raccontare di storie passate, con quell'atteggiamento mai pedante, mai saccente ma solo di uno che se sa una cosa ama condividerla.
E l'incipit del film, con quel suo primo piano oppure l'altro primissimo piano del lavaggio dei capelli sono cinematograficamente forse il punto più alto del film, con quel viso che si perde nel tempo ma quegli occhi ancora vivi, ancora in cerca di cose e ancora capaci di fare sorridere gli altri e di voler sorridere anch'essi.
Poi in Giappone arriva lo tsumami.
E piove anche a Belfast.
Lo tsunami travolge tutto, ci vorrebbe una nuova arca cantano nell'ultimo, straordinario pezzo che chiude il film, ci vorrebbe una nuova arca perchè quello tsunami sta travolgendo un'intera era, un'intero mondo.
Ma c'è ancora la possibilità di salvarsi, due a due come fecero gli animali possiamo entrare nell'arca e aspettare che finisca la pioggia.
E nella tua coppia vorresti aver vicino John che ti racconta altre storie.
Vorresti averlo vicino mentre sali nell'arca.
Oppure averlo vicino anche soltanto in questa casa e in questo finale che è solo vetri e pioggia, pioggia e vetri.
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