Regia di Alessandra Celesia vedi scheda film
Di recente ho visto '71, buona pellicola che, mischiando abilmente i generi, racconta i famosi "Troubles" nord-irlandesi. Di getto ho, quindi, deciso di vedere il documentario "Il libraio di Belfast" credendo che la regista Alessandra Celesia trattasse, anche solo in parte, il medesimo argomento tramite i racconti e le esperienze di John Clancy, per l'appunto, venditore di libri nella capitale dell'Ulster. In realtà un solo accenno all'esplosione di una bomba e alla tragedia dei negozianti è bastato per chiudere, di fatto, l'argomento. Ne sono rimasto sorpreso vista l'età del protagonista che lasciava intendere una discreta esperienza in materia. Inoltre, credo che nessuno degli abitanti di Belfast sia rimasto immune dall'atmosfera di guerra che ha permeato la città per decenni per cui mi è sembrato strano che si sorvolasse su una questione simile. Fa niente. In fondo in Irlanda del Nord si può parlare anche d'altro sfidando le attese di un pubblico internazionale che conosce a malapena le brutture che vede in Tv, ma che ignora tutto il resto, o quasi. Celesia, dunque, preferisce percorrere altre strade mettendo a confronto i ricordi dell'anziano libraio e le vicende di tre giovani ragazzi seguendo un tracciato più intimista che sociale. La prima ragazza con cui si rapporta il libraio è Jolene, una cameriera che serve a John i pasti alla tavola calda. Sogna di fare la cantante e si sta preparando per le selezioni al talent show che dovrebbe aprirle le porte della tv. Gli altri sono due fratelli. Anch'essi amano la musica ma in maniera diversa. Robert nasconde dietro l'aspetto punk la passione per la lirica, mentre Connor ama il rap. Mentre il primo non ha aspirazioni artistiche, ma si impegna a leggere i libri che il vicino di casa gli regala, il secondo vorrebbe il successo che le sue rime meritano. La regista valdostana ci racconta gli ideali e i sogni, più o meno grandi, più o meno concreti, della gioventù irlandese filtrati dall'esperienza e dai fallimenti delle passate generazioni che si rispecchiano nella figura di Clancy, uomo solo, che non sembra attaccato al denaro, non quanto lo è ai libri che compra, restaura e spesso regala. Cosa manca dunque a questo progetto? Perché non mi ha convinto? I temi non sono banali eppure mi è rimasta addosso la sensazione che oguno di essi sia stato abbozzato ma non trattato con sufficiente cura. Si parla di tutto e di niente senza approfondire nulla in particolare, ne la dipendenza dall'alcool del protagonista, ne i motivi per cui John vive solo, ne la dislessia di Robert. Restano impresse poche storie come quella della donna che tornata da John gli lascia un centone per ringraziarlo dei tanti libri presi per niente quand'era una squattrinata studentessa. Ma sull'insieme aleggiano la sensazione di un finale tronco che si chiude sulla notizia del terremoto in Giappone cantato da Connor, e un senso generale di incompiutezza che mi è stato confermato da chi l'ha visto con me. Un peccato dunque per il risultato non del tutto soddisfacente. Si può vedere lo stesso. Meglio se si conosce l'inglese perché i sottotitoli passano via veloci e per giunta bianchi su uno sfondo, molto spesso, chiaro.
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