Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Le traiettorie dei registi, anche dei migliori, sono insondabili e talvolta questo è anche un pregio. E così il Garrone di Gomorra, dopo la realtà al quadrato di Reality, passa all'estremo favolistico del Racconto dei racconti. Da bambino mi capitò di sentirmi leggere una versione, presumo edulcorata, di Lo cunto de li cunti di G. B. Basile. Mi ricordo un libro indubbiamente fiabesco, ma più gioioso rispetto alla narrazione tutto sommato funerea che ci propone Garrone. Avevo in mente pentole piene di monete d'oro, tovaglie che s'imbandivano da sole e asini che cacavano pietre preziose.
Niente di tutto questo è presente nel Racconto dei racconti, dove la magia è quasi sempre negromanzia, gli incantesimi sono finalizzati alla truffa ed abbondano sangue e sesso.
Se si volesse dare di quest'ultima opera di Garrone una lettura politica, si potrebbe notare come i vecchi sovrani - la regina di Selvascura (Salma Hayek), il re di Altomonte (Toby Jones) e il re di Roccaforte (Vincent Cassel) - siano cattivi, ignavi e maniaci, inclini al delitto, capaci di vendersi la prole e pronti a tutto pur di soddisfare le proprie voglie sessuali. I figli, la nuova generazione, sembrano un po' meglio, un po' più umani e disposti a lottare per far trionfare la giustizia. Forse in questo film fiabesco, che sulle immagini prescinde dall'ambientazione napoletana del libro, si può rilevare una visione non totalmente pessimistica, focalizzata sulle nuove generazioni, nella misura in cui esse siano capaci di prendersi, in barba ai vecchi, la libertà. Però il film in sé non è certo un passo avanti, anzi forse questo tentativo di far combaciare fiaba e realismo, che era riuscito a Basile, rappresenta la prima vera battuta d'arresto della cinematografia di uno dei nostri cineasti migliori.
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