Regia di Matthias Glasner vedi scheda film
Letteralmente tradotto “La libera volontà”. Un film che è un pugno nello stomaco e, come ha scritto con grande efficacia l’utente Theophilus, pare la suprema bestemmia, l’atto di accusa alla natura e all’Imperscrutabile generatore del “tutto”. Basterebbe ciò a commento di questo grande film tedesco. In effetti, lette le uniche due recensioni (positive) a questa pellicola, non rimane molto da aggiungere. Mi permetto timidamente qualche riflessione. Nessuno dei due illustrissimi che mi hanno preceduto analizzano, per quanto ci sia dato analizzare nei pochi minuti che compare, la figura della madre di questo “mostro”, ma quanto vediamo basta e avanza per dirci da dove proviene cotal figlio e da dove, verosimilmente, nasce il suo odio per le donne. Nasce da un’altra donna che genera, per interposta persona, odio per le sue simili; probabilmente per la sua assenza nei momenti formativi di Theo o per un eccesso di ossessiva e castrante presenza. Quindi, se ad una ingiustizia bisogna aggrapparsi per provare a comprendere quali siano i tratti generanti della personalità così fortemente disturbata del protagonista, il quadro potrebbe diventare duplice; dna ed educazione. Nessuno, com'è noto, si sceglie i genitori e il dna. Il film, però, sembra disinteressarsi completamente del perché Theo sia così, lancia solo dei flash (come la sopracitata figura materna) e ci lascia immaginare, supporre. Quello che non ci lascia immaginare è come Theo sia ora, e quell’atto di accusa alla natura o a Dio (che per me coincidono) giustamente evidenziato da Theophilus, rimane l’unica realtà incontrovertibile; non per sua colpa Theo è ora una vittima di se stesso “condannato” al tormento esistenziale e alla peggiore delle depravazioni. Dotato di un’unica arma a fronte di una situazione senza uscita e costretto nell’impari lotta contro l’istinto di sopravvivenza (altro dono dell’Imperscrutabile) violenterà se stesso facendo l’unica cosa giusta. Il tema dell’imparzialità dei talenti donati ai viventi, dell’amore infinito che ci verrebbe riservato e della massa informe di minchiate che ci vengono propinate da troppi pulpiti trova in questo film la sua dirompente negazione. Quella che io chiamo “l’ingiustizia nativa”, spesso complicata da un infelice percorso sociale esiste eccome! Molti si ritrovano inspiegabilmente “menomati” (nel corpo e/o nella mente) senza sapere a chi indirizzare il loro ringraziamento per sì tanta grazia ricevuta. E l’unica arma per porre "tombale" rimedio sembra “la libera volontà”; un’insperata opportunità che ci è fornita dalla natura, ancorché contro-natura.
Nonostante ciò il film ha momenti di solenne e toccante partecipazione anche se contiene qualche rimembranza di altre pellicole: la visita notturna alla commessa del grande magazzino mi ha immediatamente ricordato “4 notti con Anna” mentre non sapremo mai se il buon Dumont abbia tratto spunto da Schubert eseguito in Chiesa (emozionalmente fortissimo) per la sequenza forse più potente del suo Hadewjich. Ma ogni film è storia a sè e nulla, diversamente, mi sovviene circa la dichiarazione d’amore di Nettie, sul balcone, a Theo: “….guardarti e poterlo dire..…poter sentire la mia voce mentre lo dico”. Da brividi ma a Theo non è bastato. 163 minuti di tenerezza alternati ad episodi di disturbante brutalità, 163 minuti d’impari lotta tra l’uomo e il “mostro” che alberga in lui, nell’incapacità di domarlo, di piegarlo e poi sconfiggerlo, nell’impotenza della ragione vinta da un istinto malato e, infine, nella volontà per attuare l’unica soluzione tra le braccia tragicamente rassegnate ed inermi di Nettie, nella consapevolezza che il suo amore esce irrimediabilmente sconfitto a fronte di un “pastrocchio” cromosomico e/o neurologico del quale si fatica a comprendere una superiore motivazione.
Sorge il sole e domani sarà un nuovo giorno con un mostro in meno. Se vi attrae un certo cinema “a strascico” (nel senso che ve lo trascinate appresso per qualche giorno), non perdetelo.
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