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I cicli della Terra

Regia di Jacques Perrin, Jacques Clouzod vedi scheda film

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La recensione su I cicli della Terra

di alan smithee
8 stelle

Il trascorrere eterno e cadenzato, inflessibile della natura, condizionata nei suoi comportamenti dalle mutazioni stagionali, inizia a cambiare progressivamente, regredendo in spazi ed occasioni, in rapporto alla crescita culturale dell'uomo, che finisce per condizionarne i destini. Un film sontuoso e toccante che parla attraverso gli animali.

La coppia artistica Jacques Perrin (attore francese di fama internazionale) e Jacques Clouzod si ritrova in quello che in realtà è il terzo documentario dedicato al mondo animale: una trilogia sui vari regni abitativi faunistici iniziata con il solo perrin ne Il popolo migratore del 2001, proseguita col più recente La vita degli oceani (2009).

In questa ultima produzione ci si focalizza sulla terraferma: l'Europa degli ultimi 15 mila anni, dall'epoca delle ultime glaciazioni, al disgelo che apre gli spazi abitativi del regno animale, accogliendo sempre più entro di sé forme di vita diversissime, a formare, insieme alla flora imperversante, un sistema omogeneo e perfettamente equilibrato.

Dunque dalla glazciazioen all'era delle foreste, che in seguito, con l'avvento dell'uomo, distintosi gradatamente dalle altre razze di mammiferi, inizia poco per volta, col suo comportamento "anticonvenzionale" ed insolito per un animale, a stravolgere, poco per volta, equilibri preesistenti da secoli, o addirittura ere.

Il semplice addivenire di strade e sentieri che iniziano a tagliare il bosco, la coltivazione delle specie vegetali che richiede coltivazione della terra ed abbattimento di parti del bosco a vantaggio di zone a intensa densità coltivativa, finisce per costringere sempre più masse di animali a trovare rifugio presso le alte quote, le uniche ancora foriere di spazi liberi ed incondizionati.

L'avvento dell'industrializzazione sacrifica ulteriormente lo spazio per la fauna e la costringe ed opprime come mai prima ad ora: le città e capitali "eterne" finiscono per togliere spazio a luoghi e vegetazioni boschive ben più secolari e ben prima preesistenti.

la presenza dell'uomo costringe la natura a fare passi indietro. Tuttavia ella ferita si ritira, ma non si arrende, quasi tendendo una mano al progresso umano affinchè l'intelligenza umana sappia valutare il suicidio a cui sta andando incontro una strategia che pianifica tutto, tranne che la salvaguardia dei rapporti naturali fisiologici con l'ambiente.

Il film denuncia questa grave degenerazione, ma lo fa col tatto della rappresentazione vorticosa e seducente del mutare delle stagioni: un alternarsi ciclico che rende immobile per millenni lo stato geofisico del territorio, salvo poi modificarlo con un tempismo davvero veloce se non vorticoso man mano che la civiltà umana prende avvento su quella umana.

Una voce narrante discreta e poco presente, dunque mai ingombrante, racconta con molto garbo tutta questa trasformazione inesorabile, e gli animali, ripresi con tecniche sorprendenti che ne accentuanio la naturalità, si apprestano fotogenici, ma mai irreali, a vivere le loro vite senza darci l'impressione di percorrere i soliti e spesso troppo sensazionalistici passi dei documentari che ormai affollano le nostre programmazioni.

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