Regia di Jamel Debbouze vedi scheda film
Leggerezza ed orgoglio: queste le parole chiave del film d'animazione che segna l'esordio dietro la macchina da presa di un notissimo comico francese di origine nordafricana. Un orgoglio tutto francese, sentimento per nulla isolato e spesso foriero di successi e traguardi vicini a quelli dei talvolta fantasmagorici fasti hollywoodiani.
Sto parlando dell'ultima fatica (parola davvero appropriata in questo caso) dell'attore e regista, Jamel Debbouze.
Di natali ed origini marocchine, il comico ed attore, notissimo in patria per l'istrionismo, le movenze nervose e un po' goffe, la parlata dalla cadenza fortemente etnica, ci sorprende, almeno dal punto di vista della tecnica cinematografica, producento, interpretando e dirigendo il primo film francese girato interamente con la tecnica del “motion capture!: in POURQUOI J'AI PAS MANGE' MON PERE (Evolution man): gli attori, quelli veri, girano le scene dietro sfondi disegnati e di cartapesta e completamente ricoperti da una tuta con sensori che assicurano poi, nel momento in cui i personaggi verranno “coperti” dal disegno animato, una fluidità e naturalità di movimento ed espressione che restituisce, almeno in parte, le fattezze e le espressività degli attori chiamati, con enorme sacrificio, a girare vestiti come dei marziani retrò ed in calzamaglia.
La storia, un po' da Re Leone un po' da Libro della giungla, di un neonato di scimpanzé, nato piccolo e debole da un parto gemellare che lo ha visto soccombere sul pasciuto fratello erede al trono di un popolo di primati della preistoria, e costretto ad adattarsi in seguito ad un incidente ad una zampa, a camminare eretto, fornendo l'occasione alla specie di evolvere, del tutto incidentalmente, ad uno stadio che porterà all'essere umano attuale, dà lo spunto al simpatico e dinamico attore e regista di sfoderare tutta la sua comicità fisica ed espressiva che il travaso in cartoon mantiene nei suoi tratti essenziali.
La storiella è semplice e quasi risibile, ma in qualche momento divertente, anche se greve o grossolana. Una circostanza che attenua la sensazione, a tratti palpabile, di trovarsi di fronte ad un piccolo grande esperimento un po' fine a sé stesso, frutto di una grande e testarda determinazione che non si ritrova del tutto giustificata in seguito alle fatiche titaniche derivanti da una produzione minuziosa e certamente molto costosa ed impegnativa.
Lanciatissimo e distribuito in molte copie, il film del comico francese, abbreviato con l'anagramma scioglilingua P.J.P.M.M.P , trasuda ambizione da parte del suo regista, irremovibile a voler recitare lui stesso con un costume ingombrante e pesante oltre 7,5 kg, indispensabile per ricorrere a molto di più di una semplice trasposizione animata tradizionale, che finisce per cancellare definitivamente quei tratti personali che invece il sofisticato sistema del “mc” invece riesce a restituire.
Non proprio un successone in patria, dove si attendevano sfracelli al botteghino, ma un esperimento in qualche modo curioso e riuscito nel mezzo di una giungla non già solo e semplicemente naturale, ma fin più pericolosa e fitta di ostacoli come si presenta quella - decisamente più metaforica, ma ugualmente colma di insidie - destinata ad accogliere scommesse cinematografiche azzardate e ambiziose come questa.
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