Regia di Piero Messina vedi scheda film
È lunghi silenzi e sguardi smarriti e sorrisi a metà, così le due donne imparano a prendere contatto, entrambe in attesa: l’una di dire la cruda verità, l’altra di sentire dei passi giovani che arrivano di corsa e di abbracciare un corpo che conosce e trascorrere felicemente la Pasqua in arrivo.
Nelle vaste sale di una bellissima villa siciliana, Anna riceve un’ospite inattesa: è Jeanne, è arrivata dalla Francia, dichiarandosi la fidanzata del figlio Giuseppe, che l'ha invitata a casa per trascorrere la Pasqua insieme. Anna è sorpresa, questa è una novità per lei e per giunta Giuseppe non è ancora lì, anzi è assente. È un triangolo monco, è una riunione che non può avvenire: per una non è un mistero, per l’altra, la giovane e bella ventenne, inizia l’attesa. Ciò che sconcerta è che anche la mamma fa finta di attendere. E l’attesa si prolunga, tra silenzi, ancor più accentuati dalla enorme villa ai piedi dell’Etna, e movimenti del tutto femminili per annusarsi e conoscersi, loro così potenzialmente sconosciute. L’unico essere che appare e sparisce è il fidato custode tuttofare Pietro che sembra un docile cane da guardia che sa osservare gli avvenimenti senza interferire più di tanto, ma pieno di affetto e comprensione, pronto a venire in soccorso.
Giuseppe non c’è e non può arrivare perché non c’è più: è da lì che parte una delle più intense interpretazioni di una immensa Juliette Binoche. Chi più di una mamma può esprimere il (in)giusto dolore di questa portata? I silenzi, gli sguardi, l’accoglienza, la femminilità di una donna matura e di una ragazza felice piena di amore che trepida per un arrivo che tarda. Anna non è in grado di dire la verità, ma osservandola noi spettatori attoniti capiamo che lei non trova il tempo, il modo, il momento per rivelare la verità e l’attesa si prolunga, mentre i giorni passano e Jeanne trova il modo, in quella bellissima natura siciliana, così aspra soleggiata colorata come solo la Sicilia sa essere, di godere l’ospitalità di quella terra e di quella casa. Stanze grandi, spesso buie (mentre fuori è furoreggiar di sole), pesanti tende, la stanza di Giuseppe sempre in ordine e pronta a riaccoglierlo. Ma non succede nulla.
È lunghi silenzi e sguardi smarriti e sorrisi a metà, così le due donne imparano a prendere contatto, entrambe in attesa: l’una di dire la cruda verità, l’altra di sentire dei passi giovani che arrivano di corsa e di abbracciare un corpo che conosce e trascorrere felicemente la Pasqua in arrivo. Le attese sono spesso lunghe e silenziose e fotografarle non è facile. Invece il giovane regista, all’esordio nel lungo, già assistente di Sorrentino, sa far tutto questo, trascinando con sé l’esperienza vissuta con il suo maestro e dando evidenza alla sua cultura cinematografica che trae insegnamenti da antichi Maestri del cinema italiano. Chi parlerà di lentezza evidentemente non ricorda cosa significhi il termine “attesa”, che già dalla pronuncia parte veloce e poi si attesta sulla penultima vocale come per riposarsi e aspettare l’arrivo del finale di parola. Come nelle sale d’attesa, quando la fila è lunghissima e si comincia a fare amicizia con i vicini, sperando che il tempo passi più veloce. Invece il tempo ha il suo ritmo: possiamo prolungare solo l’attesa.
Meravigliose le due attrici. La Binoche è sempre quell’attrice di cui ci si innamora per la facilità e la duttilità con cui affronta i ruoli che le affidano (sì, a lei ci si affida) mentre Lou de Laâge sorprende per la sua freschezza e naturalezza, anche nel suo successivo Agnus Dei.
Piero Messina è una bellissima scoperta, anche perché sa bene ciò che doveva fare e lo ha realizzato con la maturità di un regista esperto, con idee chiare: ogni sequenza è studiata perfettamente, artisticamente e geometricamente, ogni pausa è significativa, ogni espressione è inquadrata in modo che ci raggiunga il detto e il non detto. E poi ha saputo splendidamente fotografare la sua Sicilia pirandelliana, dal cui dramma (La vita che ti diedi) si è ispirato. Dramma che prende origine da precedenti novelle i cui titoli preannunciano questo film: La camera in attesa (1916) e I pensionati della memoria (1914).
Attesa e memoria. “Quando era lontano io dicevo: ‘Se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui’. E questo mi sosteneva, mi confortava nella mia solitudine. Come debbo dire io ora? Debbo dire che io, io, non sono più viva per lui, poiché egli non mi può più pensare! E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so!” (La vita che ti diedi – Luigi Pirandello)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta