Regia di Piero Messina vedi scheda film
Tra le tante contestazioni rivolte al nostro cinema una delle più ricorrenti è quella che ne sottolinea l’incapacità di cogliere l’essenza del paesaggio circostante, il più delle volte presente nei film come semplice fondale o, ancora peggio, ricognito nei suoi aspetti più scontati e risaputi. Fa quindi piacere constatare come, accanto alla persistenza dell’antico difetto, rimarcato soprattutto nelle tante commedie che imperversano nelle sale, ci sia ancora spazio per una visione d’autore che, al contrario, fa dell’Italia e del suo territorio il punto di partenza per un cinema di ricerca e di scoperta. Una tendenza che nell’ultimo scorcio di stagione ha ricevuto nuovi stimoli grazie ai film di Pietro Marcello, regista di “Bella e perduta” presentato a Locarno e speriamo presto nelle nostre sale e poi, provenienti dal concorso ufficiale della 72 edizione del festival di Venezia, da quelli di Lucio Gaudino (Per amor vostro) e di Piero Messina (L’attesa) che, pur nelle riconosciute diversità hanno fatto dell’universo in cui sono ambientate qualcosa di più di un semplice riferimento topografico. Riferendoci a “L’attesa” per esempio, capita che, accanto al formarsi del legame che unisce la madre e la fidanzata del ragazzo di cui entrambe aspettano il ritorno, si faccia strada la rappresentazione di un sentimento che corrisponde in tutto e per tutto all’anima stessa della Trinacria, la terra dove si svolge la vicenda; una peculiarità che trova, soprattutto nella centralità della villa posta sulle pendici dell’Etna - emblema di quel senso di famiglia da cui, nel film cosi come nella cultura siciliana, tutto nasce e ritorna - le radici più ancestrali della sua riconoscibilità. Lungi dall’essere disgiunta, questa doppia valenza non rimane una semplice dichiarazione d’intenti ma si concretizza nella capacità delle immagini di farla diventare la materia del narrato; che, non per nulla si muove su un doppio livello di percezione, in parte reale, in parte immaginata, e poi di significati, continuamente in bilico tra la vita e la morte.
Così, partendo dall'incontro delle due protagoniste e stabilendo come unica certezza quell’attesa che progressivamente diventa la modalità con cui Anna (Juliette Binoche) e Jeanne (Lou de Laâge) scelgono di allontanare il momento in cui dovranno guardare in faccia alla verità e quindi alle ragioni che impediscono al ragazzo di tornare, il film allenta le maglie narrative per accogliere allusioni e rimandi che amplificano la risonanza del dato psichico; pensiamo, a proposito di misteri, alla valenza cristologica stabilita dalla simmetria tra l'immagine iniziale del volto della donna che si avvicina ai piedi del crocifisso con quella collocata subito prima dei riti pasquali, in cui il personaggio della Binoche chiude il cerchio con il disagio della sua condizione ricorrendo alle parole di uno struggente de profundis. Oppure, ai fotogrammi riferiti a particolari della vita più minuta che fanno corrispondere l’epifania di un gesto al passaggio di un’emozione , oppure un angolo di casa e gli oggetti che l’arredano al ricordo della persona a cui quelle cose sono legate. Da vedere più che da raccontare, Messina realizza un film che può contare sull’indispensabile presenza di Juliette Binoche, letteralmente trasfigurata nel dolore di Anna e brava a tal punto da far sembrare normale l’ottima prova della giovane collega. Rispetto all’accoglienza ricevuta all’anteprima veneziana “L’attesa” è un esordio che avrebbe meritato miglior sorte e almeno un premio all’attrice francese.
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