Regia di Piero Messina vedi scheda film
C’è un momento, nell’opera prima di Piero Messina, in cui il personaggio di Anna, interpretato da Juliette Binoche, riceve una telefonata inaspettata da Jeanne, la ragazza di suo figlio Giuseppe. Anna sa qualcosa che l’altra non sa e che sarebbe tenuta a dirle. Mentre misura la distanza tra le loro conoscenze, con la cornetta ancora all’orecchio, si sofferma con lo sguardo su un altro spazio vuoto, un piccolo scollamento triangolare tra l’angolo di un arazzo e la parete a cui è appeso. E sembra essere proprio quel margine esiguo, casuale eppure esistente, a proiettare in lei l’idea di mantenere aperto uno squarcio nella verità, di rimandarne la chiusura ermetica. In quello spazio mentale, Giuseppe non è (ancora) scomparso: è il luogo del possibile e del cinema. Se è innegabile che Messina, alla prima prova nel lungo, non sia ancora in grado di gestire al meglio i sorrentinismi (dimenticati nella prima parte del film), se è evidente che Fellini e Rossellini gli sussurrino prepotentemente nelle orecchie, è altrettanto manifesto che siamo di fronte a un esordio di rara maturità e sensibilità, tanto nella regia quanto nella scrittura. Per questo dispiace che non si sia dato ascolto al finale naturale del film, cedendo alla tentazione di seguire ancora l’una e l’altra donna, di girare un’ultima inquadratura. Ma è un peccato d’amore, per il cinema e per i suoi personaggi, e ottiene facilmente l’indulgenza.
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