Regia di Piero Messina vedi scheda film
72° FESTIVAL DI VENEZIA - CONCORSO
Aria soffocante di lutto e tenebra avvolge Jeanne al suo arrivo in Sicilia, per trascorrere un pò di tempo col suo fidanzato italo-francese nella splendida magione di famiglia ove il ragazzo vive con la madre Anna, separata da tempo.
La splendida ragazza (Lou de Laage, in Francia un astro molto promettente) si lascia avvolgere dall'atmosfera irreale del luogo che sembra rimasto intatto allo scorrere del tempo, ma nel contempo sospetta qualcosa circa le parole tranquillizzanti di una madre che assicura il ritorno del figlio entro il giorno dopo.
Intanto i giorni trascorrono, il ragazzo non fa ritorno, e Jeanne, valicati i confini della proprietà, conosce due coetanei e li invita in villa, occasione propizia per facilitare lo sviluppo di un rapporto almeno formale tra le due donne, inizialmente pervaso da imbarazzo e dal mutismo quasi catatonico della più anziana, che nella sua insicurezza cela sicuramente qualche segreto difficile da far affiorare.
E' tutto chiaro, sin troppo peraltro, dall'inizio in questa opera prima di Piero Messina, che si prodiga in riprese avvolgenti e panoramiche mozzafiato delle variegate bellezze locali, circostanza che farà felici e grati tutti gli enti turistici della regione, dato che la macchina spazia a volo d'uccello e con una disinvoltura quasi sfacciata dalle strade fumose e contorte che portano all'Etna, alla villa romana con mosaici di Piazza Armerina: glielo concediamo, il cinema è anche questo.
Non mi convince tutto il resto, o comunque tutto quello che resta tolta la formalità di una rappresentazione estatica e da spot che fa bene al luogo, ma non al film.
La storia, ammesso che ci sia, non emerge, non ce la fa, soffocata da locations che imbarazzano per la perfezione da museo in cui ci vengono presentate: case-vetrina con luci soffuse ed arredi, supppellettili possibili certo, ma poco credibili per suggellare il vissuto quotidiano che ogni casa, patriziacome questa o popolare, si porta inevitabilmente appresso.
Tralasciando l'ingenuità disarmante della giovane Jeanne, a cui evidentemente non funziona il cellulare per provare almeno una volta a rendersi conto dell'inganno di cui è vittima, Messina si affida, e fa bene, al volto dolente di una Binoche meravigliosa, forse anche da Coppa Volpi, costretta a sobbarcarsi tutto il peso gravoso e dunque la responsabilità di una pellicola che sprofonda nella sua stessa ambiziosa imprudenza. Il colpo finale lo assestano alcune rischiosissime se non azzardate riprese della festa di paese, tra processioni, incappucciati e madonne esibite sulla piazza, per taceredi piccole ma imperdonabili incongruenze sequenziali relative ad abiti che si modificano ad un cambio di scena, od uova fritte rotte previa cottura che si riaggiustano una colta a puntino.
Spiace parlare male di una pellicola italiana, una certa forma di campanilismo mi risulta difficile da abbandonare completamente, soprattutto quando si tratta, come in questo caso, di un'opera prima, seppur di un uomo di cinema già navigato e forte di importanti e preziose collaborazioni. Ma L'attesa risulta davvero fastidioso, supponente, imbarazzante (quasi quanto appare Giorgio Colangeli, altrove sempre meraviglioso, qui relegato a ruolo di tuttofare davvero inqualificabile) e poco umile per meritarsi certa indulgenza.
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