Regia di Piero Messina vedi scheda film
Di solito agli esordienti si accusa l'accumulo eccessivo di idee e trovate, che capita comportino film sovraccarichi che si risolvono in nulla di fatto. Spesso e volentieri però non si tiene conto che dall'imperfezione di un'opera prima, oltre a poterne scaturire un'ottima eventuale opera seconda, si delinea in maniera più precisa la personalità di un futuro autore - o magari di un ottimo mestierante. Oltre al fatto che il film imperfetto non è per forza brutto, ma può godere di un fascino che al capolavoro si dà barbosamente per scontato.
Nessuno di questi fattori riguarda L'attesa di Piero Messina.
L'elaborazione del lutto di una donna che ha perso un figlio e non rivela alla fidanzata dello stesso che lui è deceduto per far sopravvivere nell'inconsapevolezza della ragazza il suo ricordo e la sua memoria è il pretesto per dare il via ad una sbandierata messa in mostra di un'abilità tecnica indubbia ma anche di un'ingenuità estetica sconfinata. Le idee latitano, negli occhi di Piero Messina. E quelle poche che riescono a prendere vita sullo schermo sono trascinate mascherate da supposti virtuosismi continui (non dinamici, per intenderci alla sorrentino, ma più estatici) e contemplazioni allampanate di piccole azioni riempitive e dei banalissimi vuoti d'ambiente che evocano il vuoto lasciato dal morto di turno. Verrebbe voglia di incoraggiare il lavoro del vecchio collaboratore siciliano di Paolo Sorrentino, ma il tedio che si respira in tutto il film è direttamente proporzionale alle capacità recitative della Binoche, immensa ma come ovvio sprecatissima. E' solo lei che tiene testa alla totale insignificanza del film, e che colma i vuoti. L'effetto quasi immediato è che il film sia proprio cucito su di lei, sulle sue incredibili espressioni, sul dolore che è in grado di raccontare con lo sguardo, come bene sapeva tempo fa uno che di pedanterie ne faceva davvero poche, tale Krzysztof Kieslowski nel suo intenso Film Blu. Non si interpreti questo come un confronto fra Film Blu e L'attesa, è giusto per dire che la Binoche non è un volto nuovo al genere.
Di "sorrentinate", nel film, per fortuna ce ne sono poche - o magari peccato, forse domani il film ce lo ricorderemmo ancora. Invece L'attesa è talmente fumoso ed evanescente da non lasciare davvero nulla, tra uno sguardo contrito della Binoche che trova la chiusa del suo dramma in una processione di paese, e una giovane Lou de Laage che continua inspiegabilmente a nuotare e a rivoltarsi come una sirenetta nelle profondità di un lago siciliano. Potenzialmente interessante, in tal senso, l'utilizzo degli ambienti, se tutto non si risolvesse in soluzioni che chissà in che modo Piero Messina ha pensato originali o quantomeno interessanti. Ogni passaggio emozionale vissuto dalle due protagoniste, ribadito dalle fragili parvenze di luoghi che le circondano, è prolungato come se celasse un'infinità di significati, ma non si respirano né ambiguità né la vera essenza del dolore, nel film dell'esordiente Messina, solo un tentativo di costruire un dramma da camera tutto forma e pochi contenuti (o forse voleva esserne denso?), e con una forma che non ha nulla, con una mdp che sta ferma quando dovrebbe muoversi e che si muove quando dovrebbe star ferma, con una musica che è l'unico appiglio, durante la visione, per vivere una parvenza d'emozione come evasione dall'apatia. Freddo, freddissimo, congelato, L'attesa è già un passo falso, un gemito anonimo, che fa attendere solo noi di uscire dalla sala. Una lacrima in più per il cinema italano.
Presentato in concorso a Venezia 72.
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