Regia di Piero Messina vedi scheda film
Anna vive nella enorme villa di sua proprietà nelle campagne della Sicilia orientale. In casa, le tiene compagnia solo il tuttofare Pietro, fedele servitore che ha il compito di mantenere l’ordine e di obbedire agli ordini della signora. Di origine francese, è arrivata in Italia da giovanissima con l’autostop e ha imparato gradualmente ad adattarsi alla terra in cui vive, apprendendone le tradizioni e rispettandone le regole implicite.
La notizia di un lutto familiare getta nello sconforto la donna, che alla vigilia delle celebrità pasquali della vicina cittadina di Caltagirone è costretta ad accogliere in casa Jeanne, la fidanzata del figlio Giuseppe che arriva come lei da Parigi. Nell’abitazione di Giuseppe non vi è traccia, il giovane è apparentemente assente e tocca ad Anna prendersi cura di Jeanne, cercando di metterla a suo agio. Dapprima reticenti, le due si studiano lentamente e imparano a interagire, legate dall’amore per quel figlio e fidanzato che attendono in trepidazione.
Entrambe hanno qualcosa da nascondere: Anna il telefono cellulare del figlio, in cui continuano ad arrivare messaggi in segreteria ai quali non può o non vuole rispondere, e Jeanne qualcosa che ha incrinato il rapporto con l’amato l’estate precedente. Mentre Anna sembra essere padrona della situazione, Jeanne non capisce i motivi per cui Giuseppe tarda ad arrivare e non si faccia vivo con lei. Con lo scorrere delle ore, Anna decide di prendere in mano la situazione e di annunciare alla ventenne che Giuseppe non ha più alcuna intenzione di rivederla, suggerendone di partire il giorno dopo. La verità ha però un tragico risvolto con cui sono chiamate a fare i conti: Giuseppe non rivedrà mai più né la mamma né la fidanzata perché impossibilitato nel rifarsi vivo.
Ambientato in un’antica villa siciliana, L’attesa vive fondamentalmente di atmosfera e di prove attoriali. Juliette Binoche incarna Anna con tutta la sua fragilità emotiva e psicologica mentre Lou de Laage dà corpo e anima a Jeanne, chiamata a diventare donna nel corso di un viaggio rivelatosi per lei di iniziazione. A muovere il confronto emotivo tra i due personaggi è la scomparsa di Giuseppe, scomparsa le cui ragioni fino alla fine non vengono mai palesate. Anna e Jeanne devono confrontarsi con la perdita partendo una da una posizione di vantaggio rispetto all’altra: a muovere le fila è nella fattispecie Anna, che negando la perdita del figlio annega in tre giorni di finzione e apparente normalità il suo dolore. Jeanne non intuisce mai le ragioni dell’alone di tristezza che circonda quella donna così sofisticata e delicata, ne ammira la personalità e ne gradisce le attenzioni, non vedendo come questa sia sospesa in bilico tra realtà e finzione. A riportare Anna con i piedi per terra è la processione pasquale di Caltagirone, che si tiene la sera del sabato santo. Tradizione vuole che durante la processione, allo scoccare della mezzanotte, la statua raffigurante il Cristo risorto incroci il percorso di quella raffigurante Maria: in tal modo, la madre per antonomasia ha la possibilità di ricongiungersi al figlio e di conoscere le sorti del suo destino. In cuor suo, nella dimensione finta che s’è creata, Anna spera di rivedere il suo Giuseppe, accorgendosi solo al mattino che la sua era mera illusione, oltre che disperazione.
Negare la morte di una persona cara è qualcosa di molto comune. Anna non accetta l’idea che il figlio non possa più far ritorno tra le sue braccia e per lei Jeanne rappresenta l’ultimo appiglio all’esistenza di Giuseppe. Mentire alla ragazza è l’unica sua ancora, l’unica possibilità per rimandare l’agonia e per viverla il più tardi possibile. Gioco all’apparenza crudele il suo ma nei fatti salvifico della sua stessa salute mentale: in lei non c’è la volontà di ferire Jeanne, c’è semmai il desiderio di aggrapparsi con le unghia a un muro di certezze ormai crollato. Nessuno è in grado di farla desistere dal suo progetto: neanche il fedele Pietro, reso burbero da un Giorgio Colangeli silenzioso e intimidatorio, può annullare il suo piano (quasi inconscio) di prolungamento di normalità, di attaccamento al figlio.
Con una regia asciutta, a tratti ambiziosa e prepotente (diversi sono i virtuosismi della macchina da presa o le inquadrature autoriali allegoriche), Messina scampa al pericolo di risultare sorrentiano, aggettivo che per via dei suoi trascorsi lo ha accompagnato prima della presentazione di L’attesa al Festival di Venezia 2015. Superati i titoli iniziali di sicuro impatto ma degni del maestro Paolo, Messina si serve di una Sicilia fuori dal tempo, ancestrale e onirica (quella dei paesaggi segnati dalla lava, dalle immense ville barocche, dalle spiagge ristoranti e dagli aerei antincendio), per costruire un dramma da camera in cui le emozioni non si esternano ma si interiorizzano prima di sciogliersi in un’unica liberatoria lacrima.
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