Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film
Originale melodramma italiano che fa perno sulla forza del destino in amore e sulla pervicacia dei sentimenti. Un’ottima prova davanti e dietro la macchina da presa. Merita la visione.
La storia d’amore di Nadine e Fausto, modella e cameriere a Parigi, nata da un colpo di fulmine e portata avanti quasi per volontà del destino. È il filo conduttore di “Alaska”, quarto film di Claudio Cupellini con Elio Germano e Àstrid Bergès-Frisbey, un film dalla densità estrema, con alcuni picchi di realismo al limite della sopportabilità. Una storia drammatica che vive solo dell’amore dei due protagonisti, attorno ai quali la vita riserva (pochi) alti e (moltissimi) bassi, lasciando loro pochissimi punti di riferimento (nonostante le molte opportunità). Dalla Francia all’Italia, passando per carceri, ospedali, successi e cadute: Fausto e Nadine, come due opposti che si attraggono perennemente, vivono un amore contrastato, che sembra crollare spesso ma che rimane solido come il più riuscito dei matrimoni, forte di una complementarità che si nota in particolare nei picchi dell’uno che coincidono con le cadute dell’altra e viceversa.
Claudio Cupellini manovra la macchina da presa con estrema razionalità, riportando con grande credibilità la storia dei due protagonisti, tagliando il personaggio di Fausto sulla figura talentuosa e poliedrica di un Germano in formissima. Coerenti le luci, di rilievo la scenografia di Paki Meduri. La sceneggiatura è curata, ma non quanto dovrebbe, lasciando molti buchi, riempiti tuttavia da un ritmo incalzante e che rimane spesso al di sopra della media, puntellato da qualche colpo di scena di troppo, che alla fine tuttavia si rivela il tratto più peculiare dell’intero film. Sorprendentemente brava anche la Bergès-Frisbey, in un ruolo non facile, allo stesso modo di Valerio Binasco, che interpreta il poco equilibrato Sandro, emblema (nella composizione del film) di come i personaggi, alla stessa maniera delle situazioni e delle scene, siano sempre estremi, anche a costo di andare oltre la verosimiglianza, ma omaggiando la pura estetica degli istinti umani. Un film dal doppio registro, intreccio non originale ma ben ordito, di dramma e melò.
“Alaska” merita una visione, se non altro perché tra qualche sporadico thriller e un’infinità di commedie, l’Italia del ventunesimo secolo scopre che è in grado di sfornare anche qualcosa fuori dagli schemi, per di più di buon valore, frutto (in questo caso) di un raro mix di talento e incoscienza.
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