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Alaska

Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Alaska

di maurizio73
4 stelle

Cinema dal respiro epico (125 minuti sono estenuanti) ma col fiato corto, patisce una sceneggiatura che stabilisce l'abbecedario dei suoi punti miliari ma non sa bene come condurci alla sillaba postrema di un racconto con molti punti morti ed inesplicabili passaggi logici e temporali.

Fausto e Nadine si conoscono in un hotel parigino: lui fa il cameriere, lei partecipa ad un casting di moda. Finito in carcere dopo aver aggredito un cliente per difendere lei, il ragazzo dovrà attendere due anni per poterla rivedere e coronare il loro sogno d'amore. Tra alti, bassi e strani incroci del destino la ricerca di una irraggiungibile felicità sarà tormentata da alterne fortune e dolorose visissitudini. Happy end finale...o quasi!

 

locandina

Alaska (2015): locandina

 

Dalle stalle alle stelle...e ritorno; quando il dramma sentimentale parte dalla elegante cornice parigina e sembra insistere sull'inesplicabile crocevia di solitudini in trasferta (un albergo, un cameriere, lei sul tram con le cuffiette, perfino il fraco-marocchino Roschdy Zem; ma siamo lontani mille miglia dalle rarefazioni esistenziali di Bird People), per poi virare decisamente verso lo schematismo prosaico e stucchevole di una improbabile love story  alla Dieci inverni che faccia da filo conduttore e trait d'union alle legittime ambizioni di graziosi giovanotti con tutta la vita davanti ed agli inverosimili saliscendi di una scalata sociale che sembra remargli contro. 

Cinema dal respiro epico (125 minuti sono estenuanti) ma col fiato corto, patisce una sceneggiatura che stabilisce l'abbecedario dei suoi punti miliari ma non sa bene come condurci alla sillaba postrema di un racconto con molti punti morti ed inesplicabili passaggi logici e temporali, facendo compiere ai due protagonisti le molteplici giravolte di un destino in cui amore e realizzazione sociale sono nemiche giurate ed in cui i soldi possono fare la felicità di uno solo di loro per volta. Se la piattezza della messa in scena e la pretestuosa irragionevolezza dei comportamenti criminali che aprono e chiudono la storia (perdere il lavoro è meno grave di finire in carcere, uccidere un uomo per pochi spiccioli te lo aspetti da un sociopatico di banlieu piuttosto che da una fille de province) fanno accigliare persino gli spettatori meno esigenti, quello che penalizza di più questo milieu da soap-opera sotto mentite spoglie è l'inconsistenza di psicologie al limite del ridicolo, tra millantatori di successo destinati al suicidio, scaricatori di porto che si improvvisano manager e lanciatissime mannequin che si seppelliscono dietro al bancone di un bar: vabbè che la vita è fatta a scale ma qui si esagera con i tour guidati lungo l'ascensore sociale ed i ritorni di fiamma fuori tempo massimo!
Insomma nè credibile paradigma della precarietà dei nostri giorni nè coinvolgente melò di una tormentata storia a due, la ricerca della felicità secondo Cupellini si esaurisce con lui che dismesso il gessato grigio e l'impeccabile pronuncia francese si presenta alla visita settimanale presso la casa circondariale col bomber sdrucito e l'accento da coatto dicendole: "Ho portato ddue stecche di siggarette eh! Fattele abbastare!..."). Bella e brava Àstrid Bergès-Frisbey che risce a modulare bene il registro di una credibile fragilità femminile e come al solito sopra le righe un Elio Germano malissimo utilizzato; puramente di contorno gli altri personaggi. Pioggia di finanziamenti pubblici a fondo (mai come in questo caso) perduto. Roba da far rimpiangere i Gulag siberiani, altro che Alaska!

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