Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film
Non hanno nessuno al mondo, Fausto e Nadine, che si conoscono sul terrazzone di un albergo parigino, lui cameriere in pausa sigaretta e lei mezza nuda dopo un provino per modelle. Per conquistarla, Fausto la porta nella suite più lussuosa dell’albergo: verrà arrestato. Due anni dopo, possono cominciare la loro vita. Parte così Alaska, che sin dal titolo dimostra la sua versatilità: è un lontanissimo stato americano (il toponimo significa anche “grande paese”) che dà il nome alla discoteca del socio di Fausto, Sandro (uno stratosferico Valerio Binasco con tutta la tragicità delle vittime del destino e di se stessi), tra le suggestioni del freddo e della libertà evocati dalla geografia di quel posto e le ambizioni dei protagonisti di voler essere ciò che non possono (lo spericolato tuffo di Sandro nella piscina, il cedimento di Nadine alla dissoluzione, l’imborghesimento altolocato di Fausto).
Alaska è un film sulla solitudine di corpi che vivono in luoghi ostili (il solo a proprio agio col mondo è l’anziano industriale che si fa il bagno nel lago a capodanno: cammeo di Pino Colizzi), derelitti a disagio con la precarietà di sentimenti ingestibili che implodono nelle incertezze del futuro. Con tutto ciò che comporta negli scompensi e nei valori, è un melodramma spudorato dalla regia generosa e sfrontata nell’eccedere sullo smarrimento dei personaggi senza enfatizzare la messinscena tuttavia controllata, retto da una struttura circolare che sottolinea la sintonia dei due innamorati colti in situazioni similari (un vorticoso ripetersi di delitto, castigo, resurrezione). Film di dimensione europea (la livida fotografia dell’ungherese Gergely Poharnok, le musiche elettroniche di Pasquale Catalano), forse un po’ sfilacciato nel tessuto narrativo che vuole intrecciare tanti o troppi fili e con un finale che potrà apparire discutibile, è un bell’esempio del talento costantemente in crescita di Claudio Cupellini.
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