Regia di Alexs Stadermann vedi scheda film
Una celletta giallo caldo si schiude rivelando la piccola ape Maia, meno paciosamente rotonda di quella che ricordavamo dalla serie animata, altrettanto curiosa di vedere il mondo. L’alveare è un microcosmo istituzionalizzato, le regole della casa impongono un rigido allenamento prima di spiccare il volo. Se le “vicine di cella” sono operaie ubbidienti, la new entry non resiste alla vista del prato che si staglia morbido e libero davanti a una finestra al miele, esce dai ranghi e innesca una gioiosa avventura in compagnia di vario materiale insettoide: alla ricerca di un posto che possa accoglierla senza piegarla.
Animazione semplice e tenera, colori pieni e cieli luminosi solcati da specie animali portatrici di discriminazioni didascaliche q.b., L’Ape Maia è un prodotto destinato in buona fede (e, forse, troppa speranza) alle anime candide, bambini che probabilmente si emozionano di più davanti alle rutilanti esplosioni del blockbuster che di fronte all’esplorazione naturale (e umana) per nulla scaltra o spettacolosa messa in atto da un manipolo di creaturine volanti. La protagonista porta bene i suoi anni (102, dall’uscita del primo libro dedicato): riccioli d’oro golosa di affetto più che di polline, riprende perfettamente il ruolo di guida entusiasta all’integrazione ricoperto sul piccolo schermo, e sui meno piccoli scatena un effetto nostalgia che coinvolge soprattutto la fine di un’era. Quella in cui stupirsi di sé e dell’altro era legittimo senza green screen, e tutto il verde era soffice.
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