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Strangerland

Regia di Kim Farrant vedi scheda film

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La recensione su Strangerland

di supadany
4 stelle

Thriller dell’anima pervaso dall’ambizione di dar luogo ad un cinema “alto”, quello che non deve fornire tutte le risposte e che si vorrebbe accrescere nei silenzi e nel dolore di una processo inestricabile.

Purtroppo questa scelta non paga, visto il tutto nel suo insieme tanto valeva la pena di volare a bassa quota, mentre così si finisce col non soddisfare ne il pubblico della prima ora, quello che cerca struggimento prima di tutto, ne chi vorrebbe assistere a qualcosa in più.

La famiglia Parker si è da poco rifatta una nuova vita nella piccola Nathgari quando i loro due figli svaniscono misteriosamente nel nulla.

Le ricerche sono condotte dal poliziotto Rae (Hugo Weaving), i conti non tornano fin da subito, c’è un trascorso poco limpido, ed un presente che non vuole/deve emergere, con Catherine (Nicole Kidman) devastata e suo marito Matthew (Joseph Fiennes) assai ambiguo.

 

Joseph Fiennes, Nicole Kidman

Strangerland (2015): Joseph Fiennes, Nicole Kidman

 

Un passato ombroso caratterizza la scena, con figure quindi indivenire, mentre sullo sfondo riecheggia una fotografia dell’Australia polverosa ed afosa, assai poco accogliente, quasi pericolosa ed in fondo questo aspetto è il migliore di tutto il film.

La struttura è giostrata sulla sparizione, ma il contributo delle idee risulta essere piuttosto povero, con discrete premesse (si capisce pochino, ma ci aspettiamo grandi rivelazioni) seguite da sviluppi che lasciano l’amaro in bocca anche nelle impennate improvvise proposte.

Grande responsabilità è lasciata ai personaggi, descritti con ombre e luci, ma poi non sempre funzionanti, così che vediamo Nicole Kidman in versione smunta dal dolore (e ci piace questo ritorno alla sobrietà estetica) non avvalorata nel suo impegno (dopo “Australia”, si può dire che il luogo non le porta ormai grandi fortune), Joseph Fiennes invece è un mezzo disastro, praticamente plastificato, mentre, in quasi contemporanea con “The Dressmaker”, a Hugo Weaving spetta ancora il ruolo del poliziotto, stavolta con risvolti assai meno soddisfacenti (nell’altro titolo era uno spettacolo).

Un dramma sovraccarico, condito da depistaggi inutili, che apre vari canali che poi lascia morire, alla ricerca di un connubio anima/paesaggio che vorrebbe dar moto anche ad una (struggente) poesia, vedi il finale, che però non arriva a segno.

Velleitario.

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