Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Sorrentino non si smentisce. Questo film è una conferma della capacità del regista di raccontare per immagini le sue passioni e ossessioni. La vita, la musica, l'avanzare dell'età, l'amore e la morte. E, su tutto, l'arte.
Trama: un anziano compositore che si definisce apatico trascorre un periodo di ferie in una stazione termale in Svizzera in compagnia della figlia e del suo migliore amico, un regista che sta scrivendo il suo film testamento con un gruppo di giovani aiutanti. Gli incontri e le vicende porteranno i protagonisti a ripensare alla loro vita e al futuro, e a prendere decisioni inaspettate.
Commento: la breve sinossi non può rendere giustizia alla magnificenza visiva e alla stratificazione di senso che da tempo costituiscono la cifra stilistica di Sorrentino. Le abbondanti 2 ore del film volano via di un fiato, le immagini sono composte (come da abitudine, per stessa ammissione dell'autore) come una estensione dell'eclettica colonna sonora, che sottolinea i passaggi della trama e le emozioni dei protagonisti.
Se ritroviamo una cura formale di altissimo livello, momenti stranianti e onirici anche spiazzanti, il film ha una chiave di lettura molto meno ambigua e più chiara rispetto a "La grande bellezza" (che, per inciso, non era un film su Roma né sull'Italia). Il che, sia chiaro, non è un male: rendere un'opera più accessibile, e farlo con questa classe, è un atto di correttezza verso il pubblico e sarebbe snob pensare il contrario.
Oltre ad alcune riflessioni sull'arte e sul cinema (ovviamente ossessione di Sorrentino, del resto uno temi portanti della sua opera precedente), il film parla della vita, delle ragioni che ci spingono a vivere, di come tutto sia complesso e sorprendente assieme.
Le ripetute inquadrature di uomini e donne di ogni età a mollo nelle acque termali, seduti in saune che paiono gironi danteschi o luoghi di serafica sospensione in base all'andamento emotivo della storia, sottolineano come la vita sia un continuo proiettarsi tra presente e passato, quasi a suggerire la dimensione più mentale che fisica dell'età.
In una sua intervista infatti è proprio l'autore a dire come uno degli elementi più sorprendenti del film stia nell'assistere alla storia di uomini anziani che pensano al loro futuro e giovani che devono fare i conti col loro passato.
In effetti ognuno dei personaggi principali si evolve e chiarisce la propria visione del mondo. Arrivano a sorprendersi e a ritrovare un senso alle loro esistenze.
[Da questo punto in poi si faranno riferimenti a eventi chiave del film, per cui si astenga chiunque voglia evitare spoiler].
Ogni personaggio ha perso qualcosa: l'ex campione ha perso il vigore fisico, il giovane attore (Paul Dano) ha perso la fiducia nel pubblico che lo idolatra per un ruolo scelto solo per "leggerezza", il regista (Keitel) ha perso la capacità di fare film di qualità, la figlia del compositore (Rachel Weisz) ha perso suo marito, il protagonista (Michael Caine) ha perso la voglia di vivere e non dirige più da anni.
Nell'arco narrativo ognuno di loro trova almeno una speranza che lo spinge ad andare avanti, spesso sottoforma di incontro. Può sembrare che il regista/Keitel faccia eccezione poiché il suo tentativo di girare la sua opera-testamento fallisce per via del rifiuto di una grande attrice. Dopo una scena che ha molto di Felliniano in cui rivede tutte le attrici che aveva diretto nella sua carriera (peraltro mirabile nel ricostruire 50 anni di cinema in una manciata di figure), durante un incontro con il protagonista nella sua camera annuncia che si dedicherà ad un nuovo film. A quel punto si lancia dal balcone, trovando la morte.
Quello che sembra una sconfitta è invece la molla che spinge il protagonista a ritornare alla vita. Fa i conti col suo passato (che riserva qualche sorpresa) e poi accetta di rischiare tornando a dirigere in una concerto celebrativo per la Regina d'Inghilterra che è anche un riconoscimento della sua grandezza, da lui stesso messa in discussione più volte.
Vogliamo però tornare alla frase del suicida, quella in cui dichiarava di volersi dedicare a un'altra opera. Ebbene l'ultima scena è proprio per lui. Subito dopo il concerto finale vediamo Keitel che ci osserva ancora tra i monti Svizzeri studiare l'inquadratura con le mani. Questo omaggio alla professione è anche dichiarazione convinta della possibilità che un'opera di finzione possa influenzare la vita reale. Diventa assieme dichiarazione d'amore per il cinema e la musica. Non è un caso che i due amici si occupino delle due arti che Sorrentino più apprezza: in fondo i personaggi descrivono le due anime dell'autore, diviso tra queste due passioni che riesce però a far convergere nella settima arte (illuminante la parodia del linguaggio del videoclip e della musica pop che, se non affidate a mani capaci, hanno notevoli possibilità di svilire sia la musica che l'arte in movimento).
A ben guardare, comunque, la chiave del film sta nella frase affidata a Paul Deno a proposito della sua difficile prova attoriale: "È il suo desiderio, profondo, immorale, sbagliato che voglio rappresentare. Il desiderio è ciò che conta. Altrimenti perché tutto questa fatica?". Ebbene la vita è desiderio, i desideri sono ciò che ci motivano, che portano avanti la storia; che, in definitiva, ci rendono umani e ci fanno sentire vivi.
Avere la sfrontatezza di dirlo così chiaramente, eppure con delicatezza, è un atto di libertà, benvenuto in questi anni difficili.
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