Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
“La leggerezza è un'irresistibile tentazione.”
Fred Ballinger (Michael Caine) è un compositore e direttore d'orchestra ormai in pensione, che si gode le consuete vacanze in un lussuoso albergo sulle Alpi Svizzere, crogiolandosi nel tedio e nella smemoratezza propri della senilità. A fargli compagnia l'amico di una vita Mick Boyle (Harvey Keitel), regista cinematografico con picchi di scurrilità e iperattività, tutto preso dal suo progetto su un film “testamentale” ancora in faticosa fase di sceneggiatura.
I due vecchi amici, che si confidano solo le cose belle, fosse anche solo il numero di pisciate quotidiane in un testa a testa fra prostate malandate, passeggiano abitualmente nella quiete dei dintorni, ammirando di tanto in tanto la varietà degli altri ospiti della struttura: fra l'attore hollywoodiano (Paul Dano) frustrato ma in preparazione ad un nuovo ruolo impegnativo, un obeso Diego Armando Maradona posticcio e un'ammaliante (ancorché spesso nuda) Miss Universo, l'albergo vede anche la visita di Lena (Rachel Weisz), figlia mai troppo amata di Fred e moglie del figlio di Mick, da cui viene improvvisamente abbandonata.
Fred, fra un rifiuto e l'altro alle insistenti richieste di un emissario della Regina d'Inghilterra affinché diriga per il Principe Filippo l'esecuzione di una sua vecchia e frivola composizione, curiosando e scrutando, si interroga sui suoi rimpianti, sull'evanescenza dei suoi ricordi e sui motivi della sua apatia, con un occhio rivolto al breve futuro…
Dopo l'enorme visibilità conseguente a “La grande bellezza”, Sorrentino, che scemo proprio non è, si è mosso astutamente sottotraccia, dissimulando la sua smisurata ambizione e dicendo di voler fare, come progetto seguente, un film intimo, una piccolezza. La dissimulazione c'è stata, è evidente, ma “Youth” è in realtà proprio un suo simpatico capriccio, una summa di tutto l'autore che è stato in questi 15 anni di carriera: respiro nostalgico, macchiette a profusione, personaggi dimenticati per strada, commistione rischiosa fra sacro e profano, magniloquenza, dialoghi sentenziosi non sempre brillanti, accostamenti visivo-sonori spesso improbabili (sfociando talvolta in un orrido che ci si augura volontario).
Qui sembra quasi cimentarsi in un racconto corale, dimostrando di non essere ancora pronto ad una sfida di questo tipo, ma va sottolineato come in “Youth”, più evidentemente che negli ultimi suoi film comunque già improntati su questa scelta, non ci sia un racconto: lo spettatore non fa che seguire solo i personaggi, dipinti con stereotipi, eccessi e banalità, che danno il meglio di sé quando salmodianti in solitaria piuttosto che dialoganti (eccezion fatta, verso il finale, per l'aspro confronto fra Keitel e Jane Fonda, perfetta nel suo cameo).
Lo sfoggio tecnico del regista napoletano è sempre più consapevolmente ridondante e invadente, fra dolly, carrelli a pelo d'acqua e inquadrature improbabili, con un Bigazzi alla fotografia a dare eccellente manforte nel taglio definitivo, sempre rischiosamente fra il solenne e lo sghembo. Per fortuna, Sorrentino conserva intatte delle doti che sono merce assai rara nel panorama nostrano (e non solo): una su tutte, la sua capacità di tirare fuori il meglio da quasi ogni (tipo di) attore è eccezionale, in particolar modo con l'altrove mediocre Weisz, mentre i grandi Caine e Keitel duellano e gigioneggiano simpaticamente senza soluzione di continuità. Degna di nota anche la scena onirica in cui il regista sembra rivedere ogni attrice da lui diretta, prepotenti simulacri della moglie che l'ha abbandonato, che emerge nettamente fra tutte le “visioni”, in bilico fra il volgare, l'epico e il pubblicitario.
“Youth” riesce ad essere imponente e al contempo grazioso; funziona più che discretamente perché meno pretenzioso e abilmente trascinato da una sottile ironia rispetto all'ambiziosissimo “La grande bellezza”, di cui si è ormai detto anche troppo dopo l'Oscar. Sorrentino sembra ormai padroneggiare con clamorosa sicurezza il suo stile che tanto fa parlare di sé, fra cafoni detrattori ed eccessivi incensatori, quando la realtà sta banalmente nel mezzo: il gioco formale è volutamente accentuato, il rischio del ridicolo involontario è sempre presente, ma in qualche modo Sorrentino riesce ad evitarlo, divertendosi in maniera quasi provocatoria (si vedano i tiri mancini nel finale) e strafottente, conscio di non dover rendere conto a nessuno e di saper fare cinema quando vuole. Credo, però, che il giochino sia ormai diventato prevedibile e insufficiente a garantire un prosieguo di carriera degno dei primi lavori: giunta la notorietà, sembra stiano scemando le idee, chiassosamente coperte dagli eccessi...
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