Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Così sarebbe stato 8 ½, se Fellini avesse voluto deporre la sua rispettabile veste di osservatore della rassegnazione, per partecipare al lutto generale. Così sarebbe stata la storia di una crisi esistenziale, se davvero avesse interessato tutti, grandi e piccoli, vecchi e giovani, e avesse voluto stabilirsi in mezzo ai loro discorsi, interferendo ad ogni piè sospinto con le loro speranze, i loro progetti, i loro tentativi di consolarsi dalle delusioni. Con Paolo Sorrentino l’intimità si apre a ventaglio, si fa panorama, disegna un grottesco spaccato dell’umanità. Usa la fama dei personaggi come amplificatore del dramma, che lo rende condivisibile e universale, trasformando la fragilità del singolo in una fonte di ispirazione per le masse, offrendo loro uno spunto per dare libero sfogo alla propria infelicità. La coralità di un film come questo è il riverbero delle mille sfaccettature dell’amarezza del vivere, delle occasioni mancate, della pace e del riposo che sono solo fughe da una realtà frustrante ed incomprensibile. Le terme sono il luogo in cui le azioni si sospendono, momentaneamente, insieme ai loro dolorosi risvolti, e si può restare nudi e distesi, tutti insieme indiscriminatamente, a godersi l’innocuo trastullo dell’apatia. Eppure i pensieri continuano a scorrere, mentre ci si culla nella beatitudine del no. Il corpo ammollo vede venire a galla, intorno a sé, i rifiuti imposti dalla sfortuna, le rinunce irrevocabili che si sono inghiottite interi pezzi di vita. Una melodia romantica, sgorgata un giorno dal cuore, e che nessuno dovrà mai più suonare. Un testamento artistico destinato a rimanere incompiuto, perché anche la parola fine è un bene che ci può essere rubato. Un disincanto che priva della gioia di credere alla magia. Una bellezza che viene solo ammirata da lontano, e che non riesce a farsi amare. Una celebrità conquistata nel peggiore dei modi, commettendo un errore che ancora brucia. Il passato che non piace tiene in ostaggio il futuro: allora è disgrazia il cambiamento, come lo è il suo contrario, la stagnazione. Una svolta improvvisa ed immotivata può annullare d’un colpo il valore delle scelte effettuate, delle esperienze accumulate: una relazione importante si tronca in conseguenza di una insulsa sbandata. Ma anche l’incapacità di andare avanti, di portare a termine quel che si è iniziato, è tempo che si ferma, a cui viene tolta l’aria, che muore di asfissia. Il girotondo è un cerchio che non si chiude; che gira su stesso e non arriva da nessuna parte. Un albergo svizzero si riempie degli echi stanchi di uomini e donne colti più o meno di sorpresa dal blocco del divenire – una condizione grigiastra a cui niente, nemmeno i ricordi e i rimpianti, sono in grado di ridare un po’ di colore. Le sfumature del dubbio sono troppo distanti per poter essere messe a fuoco: il quadro appare ridotto ai tratti essenziali, con contorni spietatamente netti, a fronte dei quali l’incerto nulla della giovinezza è infinitamente più appagante del solido tutto della maturità: una piena ed ingombrante consapevolezza che induce l’inerzia, che intralcia il passaggio, che odora di morte. Paolo Sorrentino è il regista del non ritorno: il sarcastico cantore dei tramonti che non vogliono passare, e atrocemente si torturano, nell’estenuante attesa dell’ignoto.
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