Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Il cinema di Sorrentino non ha bisogno forzatamente di una trama, anzi potremmo affermare che questo film non ce l’abbia affatto. Non c’è un inizio e forse non c’è neanche un epilogo, è semplicemente uno stato d’animo, una quieta contemplazione filosofale di un anziano signore che si ritrova a riflettere sulla proprio passato.
“Le emozioni sono tutto quello che abbiamo”
Quindi sono le emozioni che spingono un giovanotto di 44 anni a riflettere sulla vita ponendosi nei panni di un anziano che ripensa al passato, ai giorni consumati, alle occasioni vissute, con tanta malinconia? Un Autore come Paolo Sorrentino, un Autore vero, si affida al viso e al corpo invecchiato di un grande attore come Michael Caine per immaginarsi molto più vecchio e riflettere sui passi percorsi, sui giorni che immagina avrà vissuto. Sorrentino si osserva in avanti, un luogo che non conosce, per guardare all’indietro e rivedere il presente che sta vivendo e lo scrive, lo filma e lo fa raccontare con saggezza e qualche rimpianto ad un anziano direttore, di musica o di cinema, poco importa. Per realizzare queste impressioni si affida alla magia delle sue ormai celebri sequenze - che sono ormai la sua cifra stilistica, ancor più maturata con questo film – e ad una sorprendente scrittura, rarefatta e quasi ritmata, composta da pungenti e solo apparentemente banali battute, brevi ma efficaci, in pratica una vera e propria sequenza di aforismi.
Ciò che a molti infastidisce, a tanti altri, me compreso, piace e diventa una goduria continua: il cinema di Sorrentino non ha bisogno forzatamente di una trama, anzi potremmo affermare che questo film non ce l’abbia affatto. Non c’è un inizio e forse non c’è neanche un epilogo, è semplicemente uno stato d’animo, una quieta contemplazione filosofale di un anziano signore che si ritrova a riflettere sulla proprio passato e non perché in crisi esistenziale, ma solo perché i ricordi vengono a galla da soli, come palline di pingpong che risalgono velocemente dal fondo dell’acqua. Non c’è la necessità di una trama perché le varie sequenze si potrebbero anche mescolare senza per questo danneggiare la lettura da parte dello spettatore (non sembri assurdo!) ma nonostante ciò alla fine della visione ognuno di noi avrebbe ugualmente un’idea chiara del messaggio che Sorrentino ci invia. Sì, indubbiamente ci viene in mente che è un’operazione dall’aspetto artefatto, di una costruzione fine a se stessa, forse perché si nota marcatamente un certo senso di autocompiacimento da parte dell’autore, ma questo è Sorrentino e rifiutare questo film significherebbe non accettare l’idea di cinema dell’autore napoletano, che ormai a mio parere ha intrapreso la sua strada definitiva. Le sue sequenze brevi – ad eccezione di un unico colloquio lungo che c’è nel film tra Fred e Mick, come tutti gli altri fatto di battute secche, ispide, strafottenti – sono inquadrature per la maggior parte fisse e geometricamente equilibrate, esteticamente stilizzate, ancorché armoniose e scorrevoli: il passamano della piscina che inizia e finisce aldilà dello schermo, il corridoio camminato in ordinata fila indiana, i piccoli ma perfetti spettacoli serali all’aperto della beauty farm, l’ordinato pubblico nel concerto finale.
Le memorabili immagini fotografate non fanno distrarre però dai dialoghi spiazzanti, divertenti e pungenti dei due vecchiacci, specialmente da parte dell’incorreggibile Fred, a cui Sorrentino affida l’esposizione di aforismi pacati ma fulminanti maturati con l’esperienza del suo passato, ormai andato, e del suo futuro ormai precario, con un punto di vista alquanto pessimista. È il contrasto tra il fisico che invecchia e l’intelletto ancora vibrante, come l’emblematica figura di un simil-Maradona ormai decadente che mantiene intatte però le sue abilità tecniche (alla sua donna che gli chiede a cosa pensa, lui risponde “Al futuro”), come la figlia di Fred, Lena, che già a 40 anni vede perdere le sue certezze coniugali (e sessuali), in contrasto con l’avvenente Miss Universo che invece si dimostra più intelligente di quello che i clienti dell’albergo si aspettano. L’elegantissimo ed esclusivo hotel è insomma un palcoscenico dove si esibiscono protagonisti che di nome fanno Solitudine e Decadenza, Nostalgia e Ricordi di occasioni perse e se ne La grande bellezza eravamo storditi dalla musica cafona e dal blablabla qui prevale il silenzio, i dialoghi rarefatti, i contrasti tra la vecchiaia dei protagonisti e la giovinezza di Miss Universo, che quando entra nuda in acqua fa ammutolire i due ex dongiovanni, fino quasi a farli commuovere, davanti a cotanta perfetta bellezza.
Il cast è meraviglioso alla pari dell’opera: Rachel Weisz, nonostante le tante scene in cui compare struccata e distrutta dalla delusione coniugale, è di tale bellezza abbacinante che si rischia di uscire dalla sale innamorati di lei; Harvey Keitel è il solito marpione che suscita simpatia a palate; Michael Caine è a dir poco esemplare, la sua interpretazione è quella crepuscolare di un attore vero, di un artista che è stato capace nella sua lunga carriera di rivestire i panni di ogni tipo, di un ultraottantenne in grado di attirare la completa attenzione e di essere al centro delle scene come un imperatore. Insomma una performance insuperabile. Oltre a questo trio, a cui va aggiunto il cameo di una eccentrica Jane Fonda, un elogio a parte è doveroso per un giovane che seconde me non ha ancora la giusta considerazione. Paul Dano è uno straordinario attore che ha già girato un numero di film più o meno pari alla sua giovane età ma che non ha ancora la fama e il successo che si merita: come dimenticare la sua interpretazione ne 12 anni schiavo, in Prisoners e soprattutto ne Il petroliere? In questa occasione, nel ruolo dell’attore Jimmy Tree, non si smentisce e sforna ancora una grande prova. E proprio in una sequenza del film, che è un’opera-dedica alla Vecchiaia, al Tempo e alla Leggerezza, ma che non dà certezze assolute perché spesso i dialoghi spiazzanti son capaci di demolire ciò che qualche minuto prima pareva assodato, Fred dice lapidario al giovane attore con cui stava elogiando quell’ultima condizione: “La leggerezza è una perversione”.
Paolo Sorrentino, il regista della contemplazione, come sempre è capace di dividere il pubblico, tra sostenitori e denigratori, ma come sempre è in grado di far riflettere e ci riesce perfettamente utilizzando, come è tradizione del grande cinema italiano, il registro del divertito e del malinconico nell’ambito più complesso di quello grottesco e in questo film ci è riuscito benissimo donandoci un film meraviglioso. Incantevole il concerto finale in cui il soprano Sumi Jo canta il brano Simple Song accompagnata dalla BBC Concert Orchestra London e con la pregevole violinista Viktoria Mullova e ancor più magico il brano (liberamente ispirato al Cantico dei Cantici) che accompagna i titoli di coda, Just (after Song of Songs), del musicista David Lang, Premio Pulitzer, che ci aveva già colpito per il commento musicale de La grande bellezza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta