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Youth - La giovinezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Andreotti_Ciro

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La recensione su Youth - La giovinezza

di Andreotti_Ciro
7 stelle

Pellicola 'facile da realizzare', secondo i canoni di Paolo Sorrentino, e che gli è servita per aprire un nuovo capitolo della sua carriera. Un capitolo seguente il successo mondiale de La Grande Bellezza (id.; 2013), film che gli ha permesso di alzare il premio Oscar 2014 come miglior film straniero. Il risultato di questa seconda prova in lingua inglese, dopo This Must Be the Place (id.; 2011) con un soggetto creato nel breve volgere di un solo fine settimana; è un susseguirsi di considerazioni da fine impero e da fine vita. Una serie di sguardi sulle ragioni che possano spingere il singolo a proseguire la propria vita al di la di quello che fa e di quello nel quale crede.

 

Un inno alla lentezza e all’esistenza osservata da punti di vista differenti e trasversali come quelli di Fred, apatico ex direttore di orchestra, che fa preoccupare per questo sua figlia Lena. O quelli di Mick, suo amico d’infanzia e ancora desideroso di misurarsi con il suo ennesimo film, che dovrebbe in questo caso rappresentare il suo naturale testamento artistico, oppure quelli di Jimmy Tree, un giovane attore che sta cercando ispirazione soggiornando nel medesimo albergo e trascorrendo il tempo a osservare le mosse di ogni singola persona che incontra. O forse quelli di una coppia apparentemente rodata e che però vede sfumare sotto i propri occhi la loro unione.

 

Michael Caine, Rachel Weisz, nel ruolo di Lena; e Paul Dano, in quelli di Jimmy Tree, riescono a calarsi alla perfezione nei rispettivi ruoli. A questi s'aggiunge Harvey Keitel in grado di offrire al pubblico la figura di un ottantenne speranzoso ma troppo ancorato al proprio passato artistico.

 

Un inno molto minimalista di uno fra gli autori Italiani contemporanei e più internazionali. Impreziosito da una fotografia curata da Luca Bigazzi, storico collaboratore di Sorrentino, in grado di incastonare ogni singola ripresa alla stregua di un quadro. Una pellicola curata in ogni suo dettaglio seppur forse meno efficace di altre alle quali ci ha abituato lo stesso Sorrentino, ma incapace d'ignorare anche questa volta il lato più profondamente psicologico dei protagonisti e confezionando il tutto alla stregua di un'opera teatrale al centro di un maniero delle Alpi Svizzere.

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