Regia di Mark Rydell vedi scheda film
Senilità, non c’è niente di bello ad essere vecchi. Almeno così la pensa il professor Norman Thayer, prossimo agli ottanta anni e con qualche problema di memoria (“Immagino che ora spetti a me cantare qualcosa. Ma non lo faccio. Ho cercato tutto il giorno di tirare alcune profonde conclusioni per aver vissuto fino a ottant'anni: non ho trovato niente. La sorpresa è arrivarci così in fretta”). Meno male che c’è l’amata e volitiva Ethel ad accompagnarlo nel cammino malinconico verso la fine. E meno male che la mai compresa figlia Chelsea sbologna nella graziosa casetta sul lago dorato il figliastro: cosa c’è di più bello nello scoprire un rapporto così nuovo ed affettuoso? Per quanto intriso qua e là di un sentimentalismo che qualcuno può mal sopportare, Sul lago dorato è un film perfetto perché riesce nel suo intento principale: emozionare. Giocando sulla delicatezza della scoperta crepuscolare e casuale di un rapporto inatteso, Mark Rydell costruisce un vero classico americano, un dramma sentimentale struggente e dolcissimo, servendosi del brillante copione del teatrante Ernest Thompson che unisce la magia naturalistica del paesaggio lacustre (sia nelle sequenze idilliache dei due coniugi in barca che nella drammatica escursione nella zona piena di scogli in cui per poco vecchio e giovane ci perdono le penne) alla sinfonica orchestrazione di un tramonto esistenziale (colonna sonora soave di Dave Grusin).
Ma soprattutto, Sul lago dorato è il testamento artistico di due mostri sacri della recitazione: ancora splendida, Katherine Hepburn (che vivrà ancora altri buoni vent’anni) dimostra ancora una volta cosa voglia dire essere un’Attrice con degli attributi grossi come il mondo, per almeno un secolo esempio di forza, determinazione e passione, nel ruolo dell’adorata ed innamorata Ethel, serena depositaria della diplomazia domestica (e come non notare in quegli occhi che hanno visto troppe cose il fantasma del suo amore per Spencer Tracy?); e poi il colossale Henry Fonda (già malato, nell’ultima volta sullo schermo), alle prese con un ruolo che forse ha qualche affinità con la sua vita privata (impossibile non commuoversi vedendo l’abbraccio con Jane Fonda), burbero e dolce babau (“Lo sai Norman? Tu sei davvero l'uomo più dolce che esista. Ma io sono l'unica che lo sa”) che esorcizza la morte parlandone in continuazione, in un’interpretazione essenziale e malinconica. I duetti di queste due leggende colte nella fase terminale (per molti grandi l’ultima fase è sempre la più radiosa) sono un saggio di bravura raro e prezioso, compreso lo struggente finale. Oscar ad entrambi.
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