Regia di Laura Bispuri vedi scheda film
Costruito col rigore 'semidoc' di una mobilissima camera a mano e la naturale reticenza di una narrazione affidata alle immagini più che ai dialoghi, pecca nel delineare un percorso umano esemplare, tra insistiti flashback sulla tormentata infanzia della protagonista ed il ritorno ad un lento e difficoltoso recupero della propria identità.
Adottata come orfana dal padre della coetanea Lila e seguendo una antica tradizione patriarcale, la giovane Hana cresce in un piccolo e arretrato villaggio albanese come Mark, una 'Vergine giurata' che ha fatto voto di castità ed ha trasformando sembiante e comportamenti in quelli di un vero e proprio figlio maschio dell'uomo. Quando i genitori adottivi muoiono però, la donna decide di trasferirsi nella città italiana dove anni prima era fuggita la sorellastra, in cerca di una nuova vita e di una nuova identità.
Lui le spiegò che una vergine era una donna, ma che era diventata come un uomo.
Non voleva sposarsi e giurava davanti a testimoni che lo avrebbe mai fatto.
Poi indossava abiti maschili, aveva un fucile e un cavallo se se lo poteva permettere,
e viveva come le pareva.
(The Albanian Virgin - Open Secrets 1994 - Alice Munro)
Trasposizione cinematografica tutta al femminile (soggetto, sceneggiatura, regia e attrici principali) del libro omonimo dell'autrice albanese Elvira Dones, l'opera prima di Laura Bispuri rappresenta la consueta incursione del cinema nostrano nei territori risaputi del dramma antropologico piegato al racconto di formazione, laddove il conflitto tra una tradizione rurale vicina (che siano le prealpi venete o l'entroterra montuoso dell'Albania poco importa) e l'emancipazione femminile della società occidentale appare tanto più stridente quanto più legato ad un radicato sentimento di sottomissione ad una cultura maschilista e vessatoria. Costruito col rigore semidocumentaristico di una mobilissima camera a mano e la naturale reticenza di una narrazione affidata alle immagini più che ai dialoghi, trova il suo limite ideologico nella necessità di delineare un percorso umano esemplare, tra insistiti flashback sulla tormentata infanzia della protagonista ed il ritorno ad una dimensione attuale di lento e difficolto recupero della propria identità sociale e sessuale. Pur appesantito da un ritmo al di sotto del limite dell'attenzione e da uno sviluppo narrativo non privo di alcuni passaggi a vuoto (il rapporto con la nipote, la liaison col custode della piscina, la tacita intesa con il cognato), poggia gran parte del suo interesse e della sua credibilità sulle gracili spalle di una coricea e sorprendente Alba Rohrwacher, chiamata all'arduo compito di dare voce e corpo ad un personaggio border line e quasi impossibile da catalogare: curioso caso di trasgender contro voglia che sbarca nella distratta modernità di una stralunata metropoli come un buffo e impacciato alieno proveniente da un mondo sconosciuto e lontano alle prese con un corso accelerato di rieducazione sentimentale e culturale. A pensar male, si sa, si fa peccato ma forse ci si azzecca quasi sempre pensando alle curiose analogie (tematiche e d'ambientazione, ma soprattutto narrative) con il contemporaneo Cloro di Lamberto Sanfelice, dal viaggio (e ritorno) verso un mondo di sacrifici e privazioni tra i monti dell'appennino abruzzese di un'adolescente che gareggia nel nuoto sincronizzato e che ha un debole per il rude e taciturno straniero che custodisce l'unica vasca natatoria disponibile. Insomma sceneggiature che bazzicano alcuni luoghi comuni in cerca di una propria identità e di una giustificazione allo stillicidio di finanziamenti pubblici di cui hanno goduto e che, almeno nel film della Bispuri, trova in alcune scene azzeccate (su tutte quella del rito funebre per il patrigno di Hana e quella del giuramento della stessa 'ex signorina' post menarca) il guizzo di una regia in grado di sopperire con le immagini alla irritante banalità dello script. Oltre alle giustificate lodi per la rossa protagonista dal profilo preraffaellita, si segnala l'ottima prova della bellissima Flonja Kodheli nel ruolo della sorella coraggiosa ed emancipata. Presentato in concorso al Festival di Berlino del 2015 ed in altre rassegne di prestigio, raccoglie unanimi consensi di pubblico e di critica in giro per il mondo. Chissà, magari si sono visti un altro film!
"Sono la pecora sono la vacca
Che agli animali si vuol giocare
Sono la femmina camicia aperta
Piccole tette da succhiare"
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