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One On One

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su One On One

di Ugogigio
5 stelle

Giunto alla sua ventesima opera, Kim Ki-duk sceglie di confrontarsi apertamente con una tematica d’impegno sociopolitico, denunciando le falle di un sistema avido e corrotto. In contrasto con la ferina afasia in cui si esprimeva il cupo nichilismo di Moebius, l’inconsueta abbondanza di dialoghi che satura One on One vorrebbe farsi infatti polemica propositiva, messaggio sociale ripetuto allo sfinimento.

L’omicidio della ragazza è solo un pretesto per inscenare un faccia a faccia che vede fronteggiarsi due serie simmetriche di personaggi: da un lato gli integrati nel sistema, dall’altro i reietti. Se i primi hanno saputo avvantaggiarsi delle logiche meschine della società, i secondi ne hanno tratto solo umiliazioni e puntano perciò ad un’azione purificatrice.

Ma a ben vedere il progetto dei torturatori si esaurisce nella mera rivalsa personale: ciascuno di loro cerca uno sfogo alle prepotenze di terzi e persino il capo del gruppo si rivela infine spinto da semplice vendetta. Accomunati da una notevole dose di inettitudine e remissività, essi finiscono poi col dimostrarsi non tanto dissimili dal marciume sociale che vogliono estirpare.

Ecco allora che tutto il discorso politico del nostro Kim perde credibilità, implode palesando la propria natura sovrastrutturale e l’incongruità di fondo con le cifre più autentiche del suo cinema. Un cinema estraneo ai grandi proclami, fatto di assenze e di silenzi, tanto più profondi quanto più significativi, e tutto ripiegato sulla dimensione del singolo, di cui un tempo riusciva a sondare tacitamente i più reconditi moti dell’animo, affidandoli alla forza della pura immagine.

La vocazione al dramma individuale e all’esplorazione di microcosmi lirici tipica degli esordi sembra essersi invece persa nel post-Arirang, soffocata dalla morsa di crescenti esigenze didascaliche: la critica al dio denaro, alle ipocrisie dell’istituto familiare, alla perversione insita nel bene comune.

In One on One rimane ben poco anche di quel simbolismo incentrato sull’animale e sull’azione rituale che, sebbene sempre più ingabbiato in un’autoreferenzialità di maniera almeno dai tempi de L’arco, costituiva il tratto stilistico distintivo dell’autore. Ne scorgiamo i residui solo nel gioco dei travestimenti inscenato dai rapitori, con uno sbocco metacinematografico che lascia il tempo che trova, e nel ricorrere dell’interprete della prima vittima nelle parentesi dedicate a ognuno di loro.

Anche la ritrovata violenza delle origini, in linea con i due film precedenti, appare accessoria e priva di quella potenza viscerale che scuoteva di fremiti esistenziali capolavori come L’isola o Bad Guy.

Ciò che resta è un film infiacchito da una struttura ripetitiva e ridondante che si trascina stancamente tra dialoghi artificiosi e retorici, senza particolari note di merito neppure dal punto di vista registico. Il pittore di Bonghwa è stato capace di ben altro quando la sua vena poetica ormai inaridita era ancora libera da filtri autoimposti.

 

5.5

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