Regia di Otto Preminger vedi scheda film
Sei anni dopo il capolavoro “Vertigine” Otto Preminger si cimentò nella realizzazione di un nuovo thriller ambientato in una tetra New York City. La detective-story di "Where the Sidewalk Ends" era ancora più cavernosa e girava attorno alle personalità tormentate dell’agente cinico dai modi rudi e violenti Mark Dixon (Dana Andrews) e della graziosa Morgan Taylor (l’avvenente Gene Tierney). Quando Dixon sta per indagare su un arcano omicidio avvenuto in una delle bische del gangster Scalise (Gary Merrill) le tracce faranno risalire l’accusa all'ex marito della Taylor, Ken Paine (Craig Stevens); sfortunatamente, durante una baruffa in stato di ebbrezza, Dixon compirà un errore letale che lo costringerà a depistare le indagini…
Pur non attingendo a piene mani da una sceneggiatura particolarmente sofisticata, Preminger infonde al film una percepibile durezza d'insieme; quest'ultima viene esaltata da un’estetica sporca, composta da appartamenti squallidi, ristoranti fatiscenti e luoghi angusti. Un miscuglio seducente di inchiostri corvini e gradazioni cineree perviene a illustrare una cosmesi ammaliante. Non vengono però tralasciate nemmeno le abituali nuance tipiche del noir, tra cui ombre profonde che pervadono gli angoli brumosi degli interni, un'illuminazione consunta, la quale rende acuminato il contrasto con l’oggettistica dei fondali (evidenziandone gli elementi apparentemente irrilevanti), e, naturalmente, un uso parsimonioso, minimale, del sonoro. La rappresentazione è avvincente, selvaggia, avernale. I primi piani, nel frattempo, delineano icasticamente l’indole perniciosa, bipolare ed imperscrutabile del Dixon di Andrews; la recitazione esibita spesso in sottrazione alterna una moltitudine di caliginose sfaccettature espressive (non scevre di una consistente enigmaticità) suffragate dal volto ruvido ed aggrottato di un antieroe dalla dubbia rettitudine e dallo charme tenebroso. Ad amplificarne un profilo così travagliato e mentalmente sopraffatto dallo stress venne “in aiuto” il vizio dell’alcool che Andrews aveva maturato in quegli anni: il ritratto corrucciato, incattivito altresì da complessi edipici e un passato familiare controverso, ne fu direttamente influenzato, condizionando inoltre l’alchimia con la Tierney. La donna incarnata dall'attraente attrice è capace di suscitare in Dixon una serie di palpitazioni affettive più soavi, mettendone pure alla ribalta un atteggiamento “malleabile”; quest’aspetto, che sembra superficiale, riesce a conferire al torbido e insensibile piedipiatti quell’umanità che aveva lentamente dissipato con una condotta sempre più nefanda e lontana dall’etica e dalla ragione. Il romanticismo, accorto nella manifestazione e mai invadente, non frenerà comunque quell’afflusso di rabbia e sarcasmo che culminerà con una ieratica catarsi finale, fra momenti al fulmicotone (le scazzottate sono veramente realistiche!) ed encomiabili parentesi introspettive… Da menzionare, parimenti, degli ottimi caratteristi: spiccano per il carisma “raffinatamente paludato” il già citato boss Tommy Scalise di Garry Merrill e il tenente Thomas (Karl Malden).
Ci sono dei difetti? Yep: non convince il cambio di posizione repentino del collega di Dixon nel frammento dove deve aiutarlo a pagare l’avvocato, cui precede una rissa sfiorata, così come non persuade la soluzione facilona grazie alla quale uno degli scagnozzi di Scalise, sotto interrogatorio, confessa alcune colpe. Tuttavia, data la qualità del lungometraggio, si tratta di sbavature irrisorie.
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