Regia di Joe Wright vedi scheda film
Nella continua rivisitazione cinematografica di miti celebrati, spesso siamo portati a lamentarci della scarsa fantasia, ma non va nemmeno dato per scontato che provare riletture personali debba obbligatoriamente condurre a risultati soddisfacenti.
Con Pan, Joe Wright e lo sceneggiatore Jason Fuchs ripartono praticamente da zero, ma lo sfoggio di opportunità non sortisce gran risultati.
Inghilterra, Seconda Guerra Mondiale. Il dodicenne Peter (Levi Miller) vive in un orfanotrofio gestito da una suora prepotente, sognando un giorno di poter riabbracciare sua madre. Un fatto lo turba: ogni mattino al suo risveglio, qualche bambino è scomparso e una notte tocca proprio a lui essere rapito e portato sull’Isola che non c’è, per lavorare nella miniera di Barbanera (Hugh Jackman), alla costante ricerca di polvere di fata.
Grazie all’aiuto di James Uncino (Garrett Hedlund) riesce a fuggire e a incontrare Giglio Tigrato (Rooney Mara) e gli indigeni ribelli. È il primo passo per rintracciare sua madre, ma allo stesso modo Barbanera vuole quello scampolo di universo per annientarlo definitivamente.
Pan segna l’approdo di Joe Wright - apprezzato soprattutto per Espiazione – nel mondo della fantasia, nonché del cinema a grande budget (150 milioni di dollari).
Freschi di quanto realizzato dall’autore rivisitando Anna Karenina, era facile ipotizzare una versione del testo di J.M. Barrie non omologata a metodi sistematici (cosa buona), ma la sua riproposizione alterna scenari molto diversi – per tutta una serie di caratteristiche – con un’integrazione visiva e narrativa piuttosto avara di soddisfazioni.
Così, abbiamo la cupezza del mondo reale e della miniera – due settori anche molto convincenti – l’area degli indigeni caratterizzata dalla saturazione di colori molto accesi (che più di incantare, disturbano, praticamente accecano), e la luminescenza del mondo delle fate che, vuoi anche per un ritmo da far invidia al più evoluto dei videogame, non va oltre la manifestazione di un’azione rutilante, a tratti quasi incomprensibile.
A legare l’insieme, ci pensa una trama stitica in fatto di collegamenti, incapaci di andare oltre l’unione dei singoli puntini, infarcita di ellissi e altrettanto priva di pathos.
Detta così, sembra di dover gettare tutto nella spazzatura, invece c’è comunque il personaggio di Peter, che fa sempre il suo effetto pur ritrovandosi a sgomitare con troppo (e mal assortito) contorno, e almeno il galvanizzante ingresso in scena di Barbanera sul testo a coro di Smells like teen spirit dei Nirvana è da segnalare come geniale.
Anche il cast regala note positive: Hugh Jackman è pittoresco, insolito e anche (estemporaneamente) intenso, Rooney Mara possiede lo sguardo curioso di un’entità divergente, Levi Miller è intuitivo, sveglio ed espressivo, mentre Garrett Hedlund alleggerisce la pillola con stravaganza.
In fondo però, Pan rimane un film principalmente irrisolto – aperto a un seguito che non vedremo mai (l’incasso di 128 milioni di dollari, a fronte del budget non dà speranza alcuna) – incredibilmente coraggioso nelle sue note oscure, le suore malefiche e addirittura un bambino che muore per semplice cattiveria gratuita, ma troppo confusionario nelle (molteplici) rincorse di velieri volanti, con un climax senza né smalto né grinta, la tralasciata mutazione d’identità di Uncino (aspetto che, peraltro, negli extra presenti sul bluray Jason Fuchs dà per raccontato) e anche alcuni dettagli semplicemente respingenti, tra cui degli enormi uccellacci che possono tranquillamente rientrare tra le creature più brutte a memoria d’uomo ricreate con gli effetti speciali.
Tra l’incubo e la meraviglia, (a sorpresa) vince il primo, ma troppo materiale va letteralmente di traverso.
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