Regia di So Yong Kim vedi scheda film
Quello tratteggiato in Treeless Mountain non è un racconto, manca lo sviluppo diegetico e anche la colonna sonora è limitata all’unico pezzo sul finale. Anche lo script è al minimo, si direbbe ad altezza di bambino.Quello che scorre davanti a noi è un modello oggi corrente di condizione umana.
Jin e Bin, due bambine sole in un grattacielo di Seul.
Disegnano silenziose e aspettano la mamma.L’appartamento è minuscolo, su misura per una famigliola al minimo.
Lei arriva stanca, trafelata, poche parole, un pensiero segreto le segna il viso.
Jin è la più grande, 6/7 anni, a quell’età si avverte tutto, anche senza capire.
Grandi occhi a mandorla, seri e interrogativi; la sorellina gioca, spensierata.
La storia di Jin e Bin ricorda quella dei bambini di Kore-eda in Nobody Knows
//www.filmtv.it/film/36856/nobody-knows/
ma quella era fiction plasmata su una straordinaria storia vera, Treeless Mountain è solo fiction, ma la realtà che rappresenta é molto ordinaria.
Il quadro clinico è consueto: una coppia giovane mette al mondo figli senza troppo pensarci, ben presto si accorge che la convivenza è insopportabile; subentra a questo punto la separazione, gestita in vario modo in base alla libera determinazione dei protagonisti.
La condizione dei figli da quel momento si fa precaria e come tale si trascina per anni, spesso per sempre, dando vita agli esiti più disparati sul piano del comportamento e delle storie individuali.
Nulla di nuovo, dunque, conviviamo con l’infanzia abbandonata ad ogni latitudine e Kim So Yong non ha intenzione di strapparci la facile lacrimuccia.
Quello tratteggiato in Treeless Mountain non è un racconto, manca lo sviluppo diegetico e anche la colonna sonora è limitata all’unico pezzo sul finale.
Anche lo script è al minimo, si direbbe ad altezza di bambino.
Quello che scorre davanti a noi è un modello oggi corrente di condizione umana.
Le due sorelline vivono in uno stato di cieca immobilità, nulla c’è che possano fare o sapere per intervenire a modificare qualcosa, la mdp le segue a distanza ravvicinata, sembra quasi che stia sul collo a togliere spazio e aria, mentre spia i loro sguardi carichi di un’apprensione senza parole (Jin) o di disarmata ingenuità (Bin), che trasmettono in chi guarda un senso di angosciosa impotenza.
La prima svolta arriva alla fine del piano-sequenza iniziale e rivela un retroterra di vuoto e anaffettività desolanti.
Il padre è sparito, abbandonando moglie e figlie. La donna tira avanti a fatica e decide di partire in cerca del marito affidando le bambine alla cognata, donna non cattiva, benchè di modi bruschi, ma del tutto estranea al mondo di Jin e Bin e per di più incline al bere.
Vuoto e solitudine si sommano a vuoto e solitudine fino alla svolta finale, quando la madre fa sapere per posta che il marito è irreperibile e non può farcela ad allevare le figlie da sola. Meglio che vadano dai nonni, in campagna, lei prima o poi tornerà.
La rana nel pozzo non può immaginare l’oceano… ma conosce l’altezza del cielo
Dal loro minuscolo mondo sul nero fondo del pozzo anche Jin e Bin vedono lo spiraglio di luce all’estremità opposta.
E’ quel porcellino-salvadanaio in cui mettono le monete raccolte dalla vendita di cavallette arrostite che sembra piacciano tanto ai ragazzini della strada.
Quando sarà pieno la mamma tornerà, lo ha promesso partendo.
E’ quell’autobus che ogni giorno aspettano alla fermata vicino casa, anche se quando arriva lei non scende mai.
E’ quella nonna dalle scarpe rotte a cui regalano tutte le loro monete perchè si compri un paio di scarpe nuove.
E’ quel cumulo di terra arida su cui piantano un ramo secco, convinte che un giorno germoglierà.
Come un albero sulla montagna arida.
Non è una favola triste, Treeless Mountain, anche se ne avrebbe tutta l’aria. E nemmeno una parabola sull’infanzia abbandonata.
Ki Hee Yeon (Jin) e Kim Song Hee (Bin) sono due meravigliose piccole creature di un mondo dove le cose non hanno nomi ma esistono e lasciano tracce, e sono il dolore, la paura, il coraggio, la speranza.
Una tradizione alta é alle spalle di Kim So Yong, giovane regista coreana al suo secondo lungometraggio dopo In Between Days, ed è tutta di marca orientale per quello sguardo minimale e ravvicinato sulle cose e le persone, per quella lenta progressione sulla superficie degli eventi che avverte le pulsioni premere con forza ma sa ricacciarle sul fondo.
E’ la leggerezza, quella che Calvino chiamava “leggerezza della pensosità”, che “può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.”
Tornano alla memoria i bambini di Ozu, vagabondi nella miseria con il padre in Tokyo no yado (Una locanda di Tokyo) capaci di dimenticare tutto per un cappello da marinaio
//www.filmtv.it/film/25112/una-locanda-di-tokyo/recensioni/592500/#rfr:film-25112
o il bambino di Kurosawa di Yume (Sogni), convinto che le volpi siano dove nasce l’arcobaleno e che i peschi possano rifiorire dove l’uomo ha fatto il deserto.
//www.filmtv.it/film/6581/sogni/
C’è la misura dettata da un canone classico fatto di equilibrio ed eleganza, l’ellissi e la sobrietà sono i suoi connotati, il passo è quello leggero di vite che comunque scorrono e fioriscono, trovando la forza di cercare l’anello mancante e inventando le improbabili radici di un albero sulla montagna arida.
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