Regia di Lav Diaz vedi scheda film
Mancanze Virginali.
La Sofferenza è la mamma dell’Arte, l’utero del pensiero articolato, coinvolgente, segnante, per l’appunto “vitale”, dolore come inenarrabile base iniziatica dell’esistenza, Cinema come occasione punitiva e purificante, si, quello di Lav Diaz è un flusso sciamanico di un’intensità irripetibile, immagini che rapiscono, piani sequenza che pietrificano, sequenze che lavano il cervello.
Quello di Lav Diaz è Cinema irripetibile.
Florentina è una palude di conseguenze, il vomitatoio di una terra straziata alla quale è stata negata la memoria, rimane il fango, rimangono le catene, e soprattutto rimane la prostituzione infantile, Florentina giace incatenata ad un letto situato in una baracca sperduta per le campagne filippine, la sua vagina è grondante di sangue, il suo corpo è scabroso di ferite, il suo motto è la sceneggiatura del film:
“Mi chiamo Florentina Hubaldo. Sono nata ad Antipolo. Ma prima che compissi 10 anni, ci trasferimmo qui a Bicol. In quel periodo, in circostanze inspiegabili, mia madre morì. Da allora mio padre diventò crudele con me e con mio nonno. Era molto crudele. È sempre ubriaco. Mi picchia. Mi sbatte forte la testa contro il muro, mi schiaccia la faccia nel fango, mi fa male la testa, mi fa male tutto il corpo. […] Mi teneva in catene affinché non potessi scappare.
Mi chiamo Florentina Hubaldo, vengo da Antipolo, ma prima che compissi 10 anni, ci trasferimmo a Legazpy, Albay. In quel periodo, in circostanze inspiegabili, mia madre morì, non ricordo il suo volto. L’ho già dimenticato. Aveva i capelli lunghi, mio padre ha buttato tutte le sue foto.”
Lo spettatore non ha più bisogno di parole, percepisce la paura di lasciarsi andare, di entrare in empatia con Florentina, con Diaz, con questa scorribanda di squallore salvifico… Ma è qui che risiede l’impossibilità di moralizzarsi, il manifesto dell’Arte rivoluzionaria del filippino, formattazione di un Cinema istituito da una scuola di pensiero più importante del film in questione. In altre parole, al di là della valutazione prettamente tecnica e spettatoriale Florentina Hubaldo, CTE è un film da ricordare.
“La Sofferenza è la mamma dell’Arte” come Florentina è la mamma di Lolita (Loleng), sovviene un gioco di metafore astratte : Florentina è Le Filippine, la vita di una bambina ghettizzata da una quotedianita’ di violenza e soprusi è l’Arte di Diaz, “piena di grazia” fra miseria ed abusi.
Nel bel mezzo della pietrificazione
ascetica di ogni singolo frame, veniamo quindi condotti allo schermo, risucchiati, trasportati per poi essere travolti dall’intimità eterea della spudorata realtà di Diaz : Non ci è chiaro con che frequenza Florentina si ritrovi ad abortire, è documentato invece un parto antecedente a Lolita, “è nata morta, con la testa spaccata”, questo è uno dei tanti liberi spunti che inevitabilmente riconducono alle condizioni (in)degnamente umane e mnemoniche della gracile protagonista, l’incapacità di mettere in ordine la sintassi delle confessioni alla cinepresa, l’incapacità di esprimersi, ma soprattutto questi tassativi macigni alla base dei suoi ricordi, la disabilità di Florentina è la commiserazione concentrica dell’opera, la commozione animale che nasce dal profondo e sfocia nelle lacrime, perché si, una sequenza come quella del pasto “madre/figlia” non potrai mai cancellarla da quella parte di te che non potrà mai smettere di pensare ed interrogarsi su visioni come questa, non sto parlando di “identità cinefila”, ma di semplici spazi per rattristarsi, per piangere… Questo è il potere del Cinema, infetta, si insinua sottopelle.
Siamo alla fine, siamo storditi e stropicciati dal sonoro mestruale che lascia il segno a macchia di leopardo nell’arco delle oltre 6 ore filmiche, siamo arrossiti dai vani show imploranti messi in atto dalla sensazionale Hazel Orencio, promossa a pieni voti dall’estenuante girone infernale che è il Cinema di Diaz e che sono le sue pretese (per non parlare delle pretese nei confronti dello spettatore), rimane una mezz’ora scarsa, è da gestire, c’è da stringere i denti, perché ancora una volta siamo faccia a faccia con Florentina, questa volta il testo si arricchisce con le varie descrizioni delle torture domestiche e dei vacanti diritti umani, rimane subire, sperare che quel “Sine Ni Lav Diaz” arrivi presto, un non-finale inabbandonabile, l’apologia di una giovane vita ridotta in condizioni senili. Ora respira, è tutto finito, la magia ha fatto il suo corso, ora hai preso parte anche tu a quell’abominevole incessante protesta dell’umanità che è il Cinema.
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