Regia di Lav Diaz vedi scheda film
Basterebbe questa sola immagine per capire di cosa parla Florentina Hubaldo, CTE, e anche come ne parla. A dire il vero, si potrebbe creare un'intera mostra fotografica solo immobilizzando le immagini dei lunghissimi piani-sequenza dei film di Lav Diaz (e di questo in particolare) per riflettere sul degrado esistenziale e politico delle Filippine; verrebbero meno però quell'inesorabile fluire immobilizzante eppure torrentizio del suo ritmo filmico e le geniali trovate sonore che in questo film soprattutto, ma anche nelle sue altre pellicole, finiscono per dare l'idea di un mondo in cui tutto avviene "fuori campo", solo per evocazione. Eventuale trama, inquadratura caratteriale o situazione non sono mai prese nel loro presentarsi, ma se ne coglie sempre un frammento. I personaggi di Florentina Hubaldo, CTE, infatti, sono in costante movimento, o sommersi dalla ciclica reiterazione di uno scontro apocalittico fra passato e presente, che ha in Florentina il suo zenit e le sue conseguenze massime, o colti nel tentativo di lanciarsi nel progresso, come i due cercatori d'oro, che non potranno trovare altro che morte. E' così infatti che noi vediamo i personaggi di questo grande film di Lav Diaz (fatta eccezione per il corto circuito, proprio Florentina): entrano ed escono dall'inquadratura, ci raggiungono o si allontanano, non si curano del nostro sguardo (come si addice normalmente alle opere realistiche) e si muovono senza capire che sono sempre dentro un gigantesco Essere immobile, quello del Non-Senso.
Da dove vengono la crudeltà e il dolore dell'essere umano? Domande senza risposta che una voce (fuori campo!) pronuncia di soppiatto mentre le immagini scivolano via scavando burroni profondi nell'animo dello spettatore, così come avviene negli altri film del regista filippino, e intanto ci si chiede se quell'affannarsi vuoto e insignificante degli esseri umani (quelli che cercano l'oro) non sia altro che un riflesso contenutistico di uno stile (quello di Lav Diaz), che - ammettiamolo - non cambia, si fa certo riconoscere, ma non si rinnova. Forse perché è l'Essere che non si rinnova, che mantiene inalterato il suo Non-Senso, il suo essere asemantico, ma si rischia davvero, dopo aver visto un film di Lav Diaz, di averli visti tutti, almeno per quanto riguarda l'impianto formale. Che poi potrebbe anche non essere vero: in Florentina Hubaldo, CTE certe trovate estetiche superano di gran lunga le infinite altre conclusioni formali degli altri suoi film (ogni sua pellicola è un pezzo di bravura inimitabile); però, così come il suo Essere immutabile, è la sua coscienza a non crescere, precludendo la possibilità di trovare tesori. Un presupposto coerente con il suo pessimismo, ma che rischia il conservatorismo fine a se stesso.
In ogni caso, i film di Lav Diaz sono incredibili lavatoi per le nostre coscienze, e per come riescono a rivoluzionare il gesto filmico. Ma è appunto un solo stile, per tanti film, un solo modo di "fare rivoluzione", e si rischia il vuoto elitarismo.
Messi però da parte i difetti macroscopici della filmografia del regista filippino (sorvolati davvero solo in Century of Birthing, in cui il discorso metafilmico riavvicinava il Cinema alla Vita e permetteva di concretizzare davvero quell'essere rivoluzionario del poetare di Diaz), Florentina Hubaldo, CTE colpisce per il suo notevole virtuosismo formale, un virtuosismo che dimostrandosi "statico basso" non preclude certo la pretesa "rivoluzionaria", ma rievoca la sua stessa natura ossimorica: è un virtuosismo fermo, in cui tutto è curato al millimetro (e si vede), e in cui il suo stare immobile mentre tutto fluisce e scorre crea l'effetto innovativo e incredibile di destare le emozioni più riposte, e i nostri interrogativi più strazianti, lasciandoli venir fuori spontanei e non negando certo un'alta dose di sofferenza. Perché vedere Florentina Hubaldo, CTE significa darsi del tutto alla sofferenza, concedersi alla visione di una donna - e di un paese - straziati. Evitando facili simbologie, Lav Diaz riconduce un dramma umano e totalizzante nell'anima perturbata (e nella psiche distorta) della sua protagonista, riproponendo tematiche a lui care, come i confronti familiari, il contrasto fra città e campagna (civiltà e natura), il ripresentarsi dei ricordi di infanzia, lo sfruttamento del corpo (o la sua eventuale valorizzazione, in Century of Birthing), e infine il contrasto tra l'uomo e la sua condizione esistenziale, ovvero il suo affannarsi inutile. Un affannarsi messo direttamente a confronto con la follia (e il ripiegamento in se stessa) di Florentina, vittima di un padre violentatore e afflitta da più aborti e dalle sofferenze della figlia Lolita; speranzosa in un rapporto con il nonno (che la costringe a restare sui suoi passi, nonostante la liberi dalle catene con cui il padre la lega al letto, dimostrando una grande ambiguità [e la grande ambiguità del passato]) e distrutta dall'interno dai ricordi dei Giganti, maschere carnevalesche che allietavano le feste di paese durante la sua infanzia. O forse sono proprio questi ricordi, dopotutto, a tenerla viva, a farle comprendere il Qualcosa che è assenza di Senso (e a farle sperare, fino alla fine del film, che i Giganti possano aiutarla, anche se lei stessa non è convinta di questo).
Il suo tentativo di cambiamento sta nei suoi tentativi di fuga dal padre, ma la grave malattia psichica che la atterrisce (proprio il CTE del titolo, encefalite cronica) la riporta sempre sui suoi passi: rievoca più volte i ricordi del passato, si dimentica spesso della sua identità, e si (ci) ripete i passaggi fondamentali della sua vita, rendendosi conto di come il suo dramma nasca dal suo interno, e sia dovuto alle domande irrisolte, all'indifferenza che regna sovrana, oltre che, chiaramente, dalle vessazioni continue cui è soggetta. Particolarmente evocativa, infatti, l'immagine ricorrente (e splendida) di Florentina che cerca di afferrare le mani dei Giganti, o li invoca rivolgendosi ai lampioni accesi di notte nelle strade cittadine, per cercare una comprensione, per esprimere una richiesta d'aiuto.
Diaz ha perfettamente idea di come gestire questo continuo dialogo fra i ricordi e l'arida immanenza, fra passato e presente, fra interiorità e esteriorità, e riesce anche a ricondurre simile contrasto ad una sintesi finale, in cui davvero si è spinti nel fluire, nella corrente (e a questo proposito, degno di un'analisi approfondita è il motivo ricorrente dei torrenti e dell'acqua che scorre). Le immagini dell'interiorità di Florentina, e i suoi ricordi, sono immagini mosse, in cui noi vediamo con i suoi occhi di bambina, le feste di paese, e il grande gioire dei suoi coetanei, anche se neanche in quelle occasioni lei riusciva ad afferrare le mani dei Giganti. Le immagini del suo presente sono immobili, fredde, impassibili, direttamente proporzionali al Non-Senso, alla mancata risposta. E Florentina Hubaldo, CTE nasce proprio da questo contrasto, che riesce anche a procurare empatia nei confronti di un personaggio, quello di Florentina, che non a caso, nel momento più straziante in tutte le sei ore, si rivolge agli spettatori e chiede il loro aiuto. Perché il danno che ha causato il martirio di Florentina (e delle Filippine) è proprio il disinteresse, l'indifferenza, della Natura, degli occhi di chi la/le guarda. E grazie alla sua pazzia lei entra più a contatto con simile triste realtà, come se fosse consapevole di essere osservata e si mettesse a pronunciare le caratteristiche del suo passato per farcele conoscere, ripetendole in maniera da far capire meglio a noi spettatori qual è il vero dramma della sua vita: il non essere ascoltata (nonostante gli strilli, le urla, nel vuoto). Dunque Florentina Hubaldo, CTE diventa un vero e proprio atto d'amore nel momento in cui evoca l'importanza del sentimento e della filantropia, per affrontare in simbiosi la freddezza di un mondo che si muove ma è sempre uguale. E facendo rivolgere Florentina al pubblico, Diaz coinvolge questo totalmente, assorbendolo nell'immagine dei Giganti, come se il pubblico stesso osservasse ma fosse impotente, portato a distanza da uno sguardo, da uno schermo. Solo in quel momento ci si rende conto che le immagini le stiamo proprio vedendo su uno schermo, e che anche il nostro mondo è immobile. Mai come in Florentina Hubaldo, CTE, Lav Diaz osserva anche noi, e ci osserva immobili mentre noi osserviamo il film.
Quelli che sono veramente inconsapevoli, o incapaci di accettare simile condizione, sono tutti gli altri: cercatori d'oro, padri violenti, seminatori inoffensivi. Loro sono spinti dai proprio desideri più bassi, o dalle loro ambizioni più parassitarie, senza riuscire davvero a comprendere il grande dramma in cui sono per natura inabissati (o per cercare di sfuggirgli). E le domande ripetute dalla voce fuori campo, così come il verso di un misteriosissimo geco, diventano proprio espressione di questo volerli, da parte dello stesso Diaz, riportare alla realtà, per far loro davvero "vedere" l'Assenza, così come la vede Florentina. Ecco che Diaz dunque crea un tale dinamismo, in questo suo film più fotografico che mai, grazie al suono, al rumore di ciò che non si vede, da un motore fino a un cinguettìo, fino all'acqua che scorre, o si muove, e che urla nelle nostre orecchie: "In me e nel mio movimento inutile sta il Senso", mentre nessuno riesce a sentirla, se non Florentina. Lei è la vera e propria eroina, la pazza che vede come "siamo tutti finti", e ci rivestiamo di sensi fittizi, surrogati dell'Esistere. Una posizione, quella di Florentina, che denota un certo esagerato vittimismo, da parte di Lav Diaz (il protagonista di Century of Birthing era vittima ma anche carnefice, e fautore del proprio destino). Anche volendo considerare Florentina Hubaldo, CTE un semplice (!) urlo di dolore, esso è "soltanto" un urlo di dolore, tanto che tra tutti i film di Diaz lo si potrebbe definire come il più semplice, paradossalmente.
Infatti Florentina Hubaldo, CTE riacquista il fluire della "narrazione", tanto che il suo procedere è quasi cronologico (benché gestisca due percorsi paralleli), ben ritmato, e gioca con le semplici alternanze e conducendo naturalmente (e straniando meno del solito) alle confusioni fra le diverse dimensioni (passato e presente, interiorità ed esteriorità). Non c'è insomma la destabilizzazione di Century of Birthing, non c'è la confusione di identità di Melancholia o la storia frenata e tronca in se stessa di Death in the Land of Encantos: in Florentina Hubaldo, CTE tutto è più affrontabile, "facile", il che non è necessariamente un difetto. Questo però rischia di ricondurre tutto al vittimismo, all'unidirezionalità, alla "semplice" ambiguità. Una semplicità che può nascere solo dal confronto con altre opere: se non ci fossero stati precedenti nella filmografia di Diaz, Florentina Hubaldo, CTE sarebbe stato un capolavoro assoluto.
Ma quello che rende questo film davvero unico, e incredibile alla luce di tutto e nonostante tutto, è l'impianto estetico, che sì, riprende i toni diaziani dei pianisequenza e delle lunghissime esasperanti (in senso buono) attese, ma si lancia in trovate incredibili, che, prese da sole, valgono al regista filippino il semplice titolo di vero e proprio poeta: la stessa immagine della famiglia di Florentina, che ci fissa (non a caso) mentre sta in piedi o seduta su un torrente che scorre verso di noi, atterrisce, mette i brividi, non si dimentica, e si inerpica nella nostra coscienza. Così come le inquadrature in movimento sul lago (quelle in cui Diaz trova una sintesi fra immobilità del reale e mobilità dell'interiorità), in cui scorre in carrellate, ha visioni sulle sponde, e osserva la barca che procede secondo l'andamento di una corrente lenta e irregolare. Pezzi di cinema, questi, che provocano lo sbigottimento, e ci fanno anche urlare di dolore, di compassione, per portare anche noi alla ribellione.
Ultima, ma non ultima, cosa, l'interpretazione di Hazel Orencio, incredibile nella parte di Florentina: è lei che si destreggia tra sogno e realtà, nella sua follia, riuscendo parzialmente a far confondere anche noi nella seconda parte del film. E' fuggita, o è rimasta in casa per non fare del male, indirettamente, al nonno, minacciato dal padre? E quelle immagini mosse, non più tese a inquadrare il suo immaginario, che significato assumono a quel punto? Vero e proprio squilibrio, agghiacciante e dolorosissimo. Il più disperato film di Lav Diaz.
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