Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Forse il "cinema dell'incomunicabilità" nasce qui. Quello che Antonioni avrebbe brevettato e formalizzato 10 anni dopo, Rossellini preconizzò nel lontano '49, pochi anni dopo aver inventato il Neorealismo e rivoluzionato il linguaggio cinematografico su scala mondiale. Si è soliti pensare che Rossellini abbia, con la Trilogia della Guerra ('45-'48), fatto un cinema di denuncia, a contenuto sociale, per poi dedicarsi a drammi esistenziali nella trilogia con la Bergman (casuale, ma curioso il fatto che questa presunta "svolta esistenzialista" di Rossellini sia stata fatta nel nome della Bergman, omonima non parente del Maestro dell'esistenzialismo cinematografico, tale Ingmar da Upsala). In realtà, affermare ciò significherebbe banalizzare quello che è stato il percorso artistico di questo grande precursore (come Renoir) della modenità cinematografica. Rossellini, col suo cinema tanto trasparente quanto complesso, tanto ellittico/episodico quanto inscritto nel continuum della vita, si è sempre occupato di conflitti. I suoi personaggi sono anime tormentate dalle contingenze storiche. Se la WWII è stata sanguinosa, il dopoguerra è stato sofferto e problematico, con intere nazioni chiamate a dover raccoglierne le macerie materiali e morali. Questa traslazione leopardiana da un pessimismo storico ad uno cosmico, operata da Rossellini a cavallo fra gli anni 40 e 50 e culminata con "Viaggio in Italia", non va dunque intesa come un progressivo disinteresse del regista per le tematiche collettive in favore di quelle private, ma come un naturale adattamento ad uno scenario storico in rapido mutamento. "Stromboli" riflette, sin dal moto narrativo, questa idea di precarietà, di inquieta e tormentata instabilità. Inizia in un campo profughi, dove una donna borghese lituana che ha dovuto girare mezza Europa per sfuggire a Hitler e alle bombe, spera di ottenere il visto per trasferirsi in Argentina, ma essendogli questo negato, si "accontenta" di sposare un pescatore siculo pur di sfuggire da quell'empasse. Già questo incipit, condotto sul consueto fertile didascalismo proprio dell'autore, registra lo sballottamento di un'anima alle prese con un momento storico di difficile assestamento: nel proseguio del film, Rossellini condurrà questa condizione verso una dimensione non solo materiale e relazionale (il triste matrimonio con un marito sbagliato, in una terra ostile), ma anche naturale (la costante minaccia di un'eruzione vulcanica). Nel rappresentare questo dramma del disadattamento, Rossellini evita il simbolismo e compone un articolato ritratto di donna che non prevede facile empatia nè moralistica condanna. Karen non è una santa nè una puttana, ma una donna con le sue colpe e le sue virtù: è arrogante, opportunista, egoista, ma sa essere paziente e volitiva. Allo stesso modo, del marito, del prete e di tutto il popolo di Stromboli non vengono indicati unicamente i tratti ottusi e retrivi, ma anche l'umile e fiducioso attaccamento alla terra e al lavoro. Non c'è spazio per il manicheismo nel cinema di Rossellini, che è paradossalmente morale nella misura in cui evita eroismi e demonizzazioni. E così il regista dedica pochissimi primi piani al volto dell'amata compagna Ingrid Bergman, facendola piuttosto necessariamente interagire con l'ambiente circostante, da cui viene costantemente chiamata in causa (fin dalla splendida sequenza in cui ode fuori campo il pianto di un bambino, esce a cercarlo, ma non lo trova: sublime pagina di cinema della sospensione, già pienamente antonioniano): la focalizzazione sulla protagonista viene dunque impedita e sfuma necessariamente in un affresco di umanità, sorretto da una ambigua dialettica. Esemplare in questo senso è la sequenza in cui Karen osserva la battuta di pesca: il campo-controcampo alterna i pescatori che cantano in coro mentre calano le reti ed imbarcano i pesci agonizzanti, mentre la donna geme per lo sgomento. E' una sequenza da insegnare nelle scuole per il suo carattere anti-autoritario nei confronti dello spettatore, che ci può leggere un'esaltazione dello spirito di gruppo dei pescatori così come una ricognizione sulla sensibilità femminile. Non c'è moralismo, non ci sono dictat: Rossellini, per come gira quella scena, non impone allo spettatore di indignarsi od entusiasmarsi per questo e per quel personaggio. Chi guarda, chi osserva le immagini del film viene lasciato libero di interpretare e di emozionarsi per questa o quella ragione: ecco il vero modernismo cinematografico; ecco la moralità dello sguardo riflessa nell'a-moralità delle immagini. Rossellini non giudica i personaggi poichè, da credente, sa che questo spetta solo a Dio. Nemmeno il parroco, più efficace come fiduciario finanziario che come mediatore spirituale, può aiutare Karen a cercare un senso trascendente alla sua esistenza: non le resterà dunque che invocare l'aiuto di Dio al cospetto di una Natura violenta e bellissima, in uno dei finali più intensi e strazianti di sempre, anti-catartico come pochi altri. Rossellini fonde e sublima gli estremi del documento folklorico, dello scandaglio psicologico, della critica anti-istituzionale (famiglia, religione), dell'esplorazione naturalistica, dell'esistenzialismo storico in un'opera fondamentale, fra i capolavori troppo poco acclamati del cinema mondiale.
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