Regia di Roberto Minini-Meròt vedi scheda film
I film nati da una passione così divorante come quella del regista Roberto Minini-Meròt per Paolo Fresu lasciano addosso qualcosa che va al di là delle serie o seriose analisi estetiche. Se poi si comprende il linguaggio, nella fattispecie il Jazz, o in generale la musica, impossibile non essere risucchiati. Paolo Fresu è un musicista, suona la tromba e non solo, perennemente in tour. Circa 200 serate all’anno, e in tutto il mondo. Chi l’ha potuto vedere dal vivo (la nostra prima volta è stata oltre 20 anni fa in un piccolo grande club, lo Splasc(H) di Induno Olona) sa che parliamo di un fenomeno vivente, uno che, per usare una felice espressione di Lella Costa, più che suonare, vola. Fresu è sardo, non è un dettaglio. La cosa più affascinante del film è vederlo volare (appunto) nella “sua” campagna, a contatto con la sua gente, ricordare di quando era piccolo e “assordava” parenti («un sacco di zii e di cugini») e contadini con una tromba che sarebbe diventata, o forse era già, parte di lui. Il suo storico manager Vic Albani lo spiega bene: «Che ci sia un circolo di sardi a Gallarate te lo aspetti; ma che ti accolgano quando arrivi per suonare a Pechino, forse meno...». La possibilità di un’isola e altre storie. Tutte belle. Le note sono eterne, le avventure commoventi (per dire: con Tino Tracanna si sono conosciuti in un autogrill sulla A4). Quella di Fresu non è solo musica. È vita. Contagiosa.
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