Regia di Massimo Piccolo vedi scheda film
New York rinchiusa nel retropalco di un locale tempio del jazz;?una vita amorosa intera racchiusa nel sorriso di tre donne; una carriera di prodigio del sassofono riassunta in brevi didascalie battute a macchina. L’esordio su grande schermo di Massimo Piccolo, che viene dal teatro e dal teatro non permette al suo cinema di uscire, punta a una stilizzazione talmente fragile da non lasciare quasi alcuna sostanza, dietro il canovaccio del tormentato ma sornione Danny “Sweet Touch” Caputo, musicista jazz al suo debutto in un immaginario locale di culto newyorkese. Mancano 50 minuti alla sua esibizione, tempo morto che il giovane sfrutta per ripercorrere, in un monologo quasi ininterrotto, errori e amori, bionde e more, tre paia d’occhi femminili che hanno osservato la sua inadeguatezza a una vita sentimentale serena. Fiumi di parole e di note jazz, con un occhio a Woody Allen (ma New York, solo evocata, non si vede) e uno allo Spike Lee di Mo’ Better Blues, con la passione erotica e quella per il sassofono che si sovrappongono, in un’opera affidata completamente alla telegenia del protagonista e di tre fanciulle più belle che espressive. Cinema tanto minimale da rasentare il vuoto e minato dall’ambizione di modelli d’oltreoceano applicati maldestramente a un po’ di nostrana arte d’arrangiarsi. Talmente esile da non reggere una durata già risicata, talmente solipsista da azzerare ogni interesse.
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