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National Gallery

Regia di Frederick Wiseman vedi scheda film

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La recensione su National Gallery

di EightAndHalf
8 stelle

INTRODUZIONE TUTT'ALTRO CHE UTILE E RICCA DI INDIGNAZIONE, giusto per non farci mancare niente. Cioè a dire un insieme di fastidi che si aggiungono alla triste recente abitudine di far uscire sul grande schermo solo per un giorno film ritenuti di poco richiamo. Ma già è tanto che escano, e qualcuno ha detto che chi s'accontenta gode, quindi su questo non si aggiunga altro. 

Il paragrafo può essere benissimo saltato.

 

Coppia di spettatori di età avanzata entrano in sala: "C'è davvero poca gente" dice lei, e conta gli spettatori; "me l'immaginavo. A Palermo la gente neanche va nei musei, figurati se sanno della loro esistenza". Il partner: "Se i giovani vanno a vedere idiozie al cinema che cosa pretendi?". Chi scrive tiene a dire che non si è dilettato nell'arte dell'origliare, ma essendo i posti numerati nella sala in cui si è proiettata l'ultima fatica di Frederick Wiseman gli spettatori erano costretti gli uni vicini agli altri, almeno all'inizio, finché non si fosse stati sicuri che i posti liberi non sarebbero stati occupati e ci si fosse potuti spostare. Da ciò risulta evidente che le belle cose che gli spettatori pronunciavano giungevano all'orecchio per caso, difficile non ascoltare a pochi centimetri di distanza. 

Giungono due uomini anziani. "Ero sicuro saremmo stati solo in due" afferma uno di loro, "invece c'è anche un giovane!" indicano il sottoscritto, che sorride per cortesia. La coppia suddetta, accomadatasi nella fila immediatamente avanti, si gira, e la signora dichiara: "Ha la faccia dello studente di musica", al che il qui presente dissente, senza dare ulteriori spiegazioni. Seguono da parte di entrambe le coppie disquisizioni questa volta confabulate e non gridate ai quattro venti dei capolavori dell'arte che erano convinti avrebbero visto in un film sulla National Gallery. 

Durante la proiezione, si è capito che il film non era esattamente quello che si aspettavano, e la reazione è presto detta: un continuo chiacchiericcio, fra cui alcune perle esclamate ad alta voce che meritano certo citazione. "Certo, ci sono tanti quadri. Spero mettano le didascalie, così capiamo di chi sono". "E' davvero un film troppo tecnico". (Durante una riunione di consiglio d'amministrazione del museo) "Ma a noi che ce ne frega di questo?". "Il film sull'Ermitage era molto più bello". La ciliegina sulla torta è stata una signora che ha tirato fuori il libro illustrato delle opere della National Gallery trepidante di vedere un qualche trittico.

Probabilmente nessuno conosceva Frederick Wiseman. E nessuno si è avveduto, una volta viste stroncate le aspettative paraturistiche, che il film è un gigantesco capolavoro.

 

INIZIO DELLA VERA E PROPRIA RECENSIONE

 

Della mistione delle arti.

 

scena

National Gallery (2014): scena

 

National Gallery  di Frederick Wiseman è un capolavoro per una quantità infinita di ragioni. Fitto di rimandi dissimulati, di interventi quasi ammiccanti e di riflessioni "formalmente esplicite" sull'Arte e sulla sua fruizione, è un documentario che nega il commento sonoro, la voice over, e tutti quei ghirigori dei documentari televisivi che tanto barbosamente sostituiscono gli invece fondamentali libri d'arte. Se quei film assolutamente leziosi e quasi snobbistici possono bensì rivelarsi meramente utili, ma mai e poi mai "arte", né ricchi di una qualità distante dall'intrinseca funzionalità illustrativa, National Gallery persegue i tratti stilistici dell'opera di Wiseman fin da Titicut Follies, che affianca all'assolutistico afflato verso un realismo radicale e ancora oggi anarchico la capacità del regista di farsi "presenza assente" e mai invadente nel mondo che racconta. Nella disamina sistematica delle più grandi istituzioni dell'uomo, il grande documentarista americano non si lascia sfuggire le dinamiche, gli eventi quotidiani e le difficoltà prevedibili di una galleria d'arte nel XXI secolo, rivelandosi dunque consapevole del passare degli anni e della crescente distanza che va instaurandosi fra un cyber-pubblico con frequente cellulare alla mano, che preferisce il virtuale al reale, e l'Arte in genere. Una distanza che non corrisponde a quella invece fisiologica di un'opera d'arte, quella che una delle guide turistiche definisce come "strato fra il mondo idilliaco di un quadro [di Vermeer, in particolare] e la realtà nella quale viviamo, e vivono tutti coloro che il quadro lo osservano". L'immediata controffensiva della regia di Wiseman è invece quella di mettersi dalla parte del pubblico, riprendendo più questo che l'opera in sé, che sembra albergare in paradisiaci mondi lontani che il Cinema non si arrischia di attraversare (pur attraversandoli indirettamente, facendo le dovute considerazioni e proporzioni). Ciò non toglie che il Cinema di Wiseman non nega, in quanto documentaristico, il lato artistico, anzi, National Gallery è in sé una splendida opera d'arte, avanti con i tempi, necessitante di un pubblico sofisticato che vada oltre la calligrafica celebrazione della pittura dei grandi e osservi il mondo reale stando dalla parte di ciò che appassisce e poi muore. Il Cinema di Wiseman fa un miracolo, con National Gallery: eterna ciò che è fragile e caduco, non idealizzando un'opera d'arte ma trasmigrando il senso stesso dell'arte nella fruizione della stessa, e nella contemplazione di questa fruizione.

 

scena

National Gallery (2014): scena

 

Si diceva dunque che il film di Wiseman richiede un pubblico sofisticato. Non è una dichiarazione di elitarismo, o un ammonimento su un film "difficile" o "pesante" che dir si voglia; è piuttosto un commento giustificato dal fatto che proprio il regista suggerisce la non immediatezza delle sue intenzioni facendo parlare per sé un altra guida turistica che analizza un dipinto di Poussin. L'uomo, di fronte a un pubblico diversificato di giovani e anziani incuriositi, dichiara la natura classicistica del dipinto, che si ispirava all'arte del periodo classico. Ma di quell'arte non sono giunte che statue, dunque le figure di Poussin appaiono scultoree e rigide, seppur dotate di un grande vitalismo. E' proprio l'aspetto cortocircuitale di tale mistione di arti a interessare direttamente Wiseman. E non solo la mistione delle arti, ma la mistione delle situazioni, degli eventi, degli accadimenti. In un solo film tutte le fondamentali attività del museo londinese, dalle problematiche legate al rapporto con la pubblicità fino all'allestimento delle mostre, sono riportate con un piglio rigoroso che non si nega la problematicità, non si tira indietro, ma non vuole nemmeno rendersi protagonista. L'arte di Wiseman sta nella costruzione dell'immagine, non vuole farsi notare a parole, ma per organizzazione dell'impianto formale. Non per questo è timida, è anzi sfrontata, e sembra quasi un occhio di malizia quello con cui il regista osserva la realizzazione di un documentario sulle opere d'arte del museo, un documentario quello sì interessato semplicemente al catalogo dei dipinti e non alla trattazione "sofisticata" dell'istituzione "museo". L'artificio dell'intervista e del commento degli esperti viene lasciato fuori, è - diciamo - diegetico, non è portato avanti dalla struttura filmica del film, ma da altre produzioni che in National Gallery realizzano un altro documentario. Wiseman prende la distanza dal normale documentario, e dimostra - in maniera diversa e antipodica rispetto alle maniere romanzate dei Dardenne - che qualsiasi anfratto apparentemente irrisorio della realtà può essere arte, o può quantomeno destare quelle emozioni profonde e importanti che solo la realtà offre normalmente abitualmente con tutte le sue infinite variabili.

 

scena

National Gallery (2014): scena

 

Guardando l'Arte e costruendola, creandola, Wiseman oltrepassa al solito suo i limiti che si direbbero propri del documentario e senza digressioni filosofiche penetra nella storia della pittura del museo senza dilettantismi né allettanti facilone messe in scena dei dipinti e null'altro. Wiseman fa rivivere l'Arte, coglie il lato più vitale e rigenerante nella fruizione di un immagine, e osserva con fare scrupoloso l'altrettanto scrupoloso tentativo dei pochi di preservare ciò che i grandi artisti hanno creato perché rimanga per i posteri, senza negare l'origine agghiacciante di un'istituzione quale quella della National Gallery stessa (che come le Tate Galleries e il British Museum nacquero con i soldi ottenuti dalle tratte degli schiavi). Senza borghesismi, ma con il pudore che richiede la constatazione del vero, Wiseman guarda, contempla, visiona, e ci fa vivere un'esperienza senza precedenti. Un vero capolavoro, con alcuni momenti quasi commoventi (la lettura della poesia di Ovidio in correlazione a un'opera di Tiziano; oppure la rievocazione del quadro di Icaro di Bruegel a opera di una guida turistica, con conseguente richiamo a Musée des Beaux Arts di W.H. Auden), in grado di sperimentare e di tenere conto di tutto, riempiendosi di curiosità e di realtà mai sul filo dell'aneddotica e in grado superbamente di rovesciare i ruoli, nel finale, e di costringere lo spettatore non più a guardare, ma ad essere guardato dai volti dei grandi ritratti. 

 

scena

National Gallery (2014): scena

 

Verrebbe da dire sublime. Non si fraintenda, Wiseman non si concede quadri leziosi di cinema-verité, ma riempie il suo film di particolari mirabolanti, come i momenti in cui inquadra i riflessi del pavimento, che sembrano sgranare l'immagine e trasformare la realtà in un dipinto. Diciamolo pure, sublime.

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