Regia di David Robert Mitchell vedi scheda film
Il secondo film di Mitchell, dopo la commediola The Myth of the American Sleepover (lett. Il mito del pigiama party americano), inedito in Italia, non è assolutamente all’altezza dell’esagerata acclamazione critica a cui è andato incontro.
Non è un grande horror e men che meno uno dei miglior horror del decennio.
Il prologo è alquanto ridicolo (con una ragazza che fugge in biancheria intima ma provvista di tacchi a spillo), ma si conclude con un genuino pugno nello stomaco. Da lì in poi il film si fa progressivamente sempre più interessante, almeno fino al momento della rivelazione dei meccanismi e della natura della maledizione, perché qui già la struttura narrativa comincia a scricchiolare, ma il lungometraggio rimane comunque di qualche vago interesse, seppur tra vari spazi lasciati a qualche sbadiglio, ma è nel finale che si perde definitivamente: non viene offerta alcuna spiegazione in merito agli eventi narrati (e quindi al senso del tutto) e allo spettatore non è neanche concessa la grazia di una reale conclusione, in un’irritante stratagemma per lasciare le porte spalancate ad eventuali seguiti.
Certo, la regia è capace di alcune trovate fulminanti (come nel caso delle riprese a 360°) e il film regala uno spaccato abbastanza desolante della provincia americana e delle insicurezze e delle fobie delle giovani generazioni in un mondo in cui gli adulti sono del tutto assenti, ma il sottotesto sessuofobico rimanda a un puritanesimo di base che si sarebbe voluto superato, o quantomeno anestetizzato, nel bel mezzo del XXI secolo.
E’ interessante (per quanto non originale), comunque, la trovata di ambientare il tutto in un contesto indefinibile e quasi “fuori dal tempo”, sospeso tra gli anni ‘80 e i giorni nostri (con le rappresentazioni, allo stesso tempo, di TV e auto d’epoca e di ebook reader a forma di conchiglia).
Ma le interpretazioni del cast non sono particolarmente entusiasmanti, e i momenti di reale suspense si alternano ad estenuanti momenti di tedio, andando a comporre un quadro disomogeneo e, fondamentalmente, deludente.
In ogni caso, bella musica di Disasterpeace (Rich Vreeland), che contribuisce e molto alla riuscita dei segmenti più movimentati.
Eccessivo invece, come detto, il plauso della critica, fin dalla presentazione alla Settimana Internazionale della Critica a Cannes.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta