Regia di David Robert Mitchell vedi scheda film
Il supposto miglior film horror del decennio è in realtà una pellicola inconsistente, genialmente costruita per strizzare l'occhio al cinefilo. Ma tolte le suggestioni, abilmente gestite da un regista che non è certo uno sprovveduto, quel che resta è davvero poco!
Detroit è diventata (purtroppo) qualche anno fa l'emblema della crisi che affligge il sistema economico del mondo contemporaneo. Travolta dai debiti, la motor city che negli anni '70 era diventata uno dei simboli del modus vivendi made in U.S.A., città dell'automobile e del rock (Detroit rock city) ha dovuto dichiarare fallimento.
Periferie svuotate, edifici abbandonati all'incuria del tempo e degli eventi atmosferici, l'immaginario della città del Michigan ha dismesso i colori sgargianti del benessere e della festa americana per assumere connotati più grigi e spettrali.
Questa Detroit, avvolta in un alone di desolazione, diventa l'ambientazione ideale di un film horror, e David Robert Mitchell, che la città conosce bene perché in quei luoghi è nato (a Clawson, per la precisione, che della ex metropoli dell'automobile è un sobborgo), proprio in questi quartieri di periferia in bilico fra decadenza e anonimato ambienta la sua "dirompente" pellicola (quasi) d'esordio, It Follows.
Il giovane (ma non giovanissimo) regista dimostra molta abilità nello sfruttare location che, come detto sopra, conosce molto bene, alternando immagini di quartieri che tentano di mantenere un aspetto decoroso a quelle di edifici fatiscenti, strade circondate da file di alberi in un autunno che sta prevalendo sull'estate (elemento di forte valenza simbolica la scelta del passaggio di stagione, uno fra i tanti che troviamo in questa pellicola), la rappresentazione del disfacimento che sembra prendere il sopravvento in maniera lenta ed inesorabile così come lenta ed inesorabile è la falcata con cui la creatura maligna, vera protagonista della vicenda, si avvicina alle sue vittime, indugiando poi con lo sguardo della macchina da presa su un gruppetto di giovani in apparenza abbandonati a se stessi (gli adulti compaiono pochissimo, tanto da farci dubitare della loro stessa esistenza, e questo è un altro bello spunto di riflesssione).
Ma allora qual'è il problema? Il problema è che questo film non ha di trama, si regge su suggestioni molto ben gestite (cosa di cui diamo volentieri merito al regista), ma spogliato da orpelli e sovrastutture da psicologia dell'età evolutiva quello che resta è un nulla totale che fa (quello sì) paura, assai di più della presenza demoniaca che sotto forma di vecchia fuggita dall'ospizio o ragazza scappata da una clinica psichiatrica cerca di ottenere il suo scopo.
Quello che (personalmente) più irrita di questo film è la furbizia del regista che pare aver usato il suo talento per creare un qualcosa che potesse far breccia nel gradimento dei cinefili.
Piani sequenza, telecamera che si attarda su vialoni alberati come sulla luce malinconica di tramonti desolati in contesti suburbani, colonna sonora (opera di Disasterpiece) abilmente costruita per riportare all'orecchio suggestioni carpenteriane, soggettive dall'automobile che riportano a certe scene di Halloween (e ancora il fantasma del grande John che aleggia); qui tutto sembra strizzare l'occhio all'appassionato di horror che voglia farsi ammaliare dai rimandi ai capolavori del genere così come sembra voler accalappiare l'interesse del cinefilo di più ampie visioni.
Guardando scorrere le immagini non ho potuto fare a meno di pensare a un altro film, ben lontano da questo, ma anch'esso costruito (ovviamente secondo la mia opinione) per cogliere il consenso del cultore della settima arte, quel Birdman che vinse l'Oscar e che esattamente come questo film ho percepito come attraversato da una nota fasulla, cosa veramente insopportabile.
It Follows, supposto miglior horror del decennio, è un film che a guardarne la sostanza si basa sul niente, con dialoghi ridicoli e protagonisti che sembrano i fratelli sfortunati di quelli di Beverly Hills 90210 (per chi non fosse al corrente: serie tv che ridisegnò l'immaginario collettivo della gioventù made in U.S.A. nel corso degli anni '90).
E di fronte a una Maika Monroe (la protagonista Jay)che offre il suo delizioso faccino da bamboletta di quartiere popolare (americano) agli orrori dell'indefinita essenza malvagia (che arriva per contatto sessuale, ancora un elemento di valenza simbolica, ma non se ne può proprio più......), alla fine la figura migliore la fa Olivia Luccardi nei panni di Yara, una amica di Jay che passa gran parte del suo tempo a dormire.
Il voto è diretta conseguenza di quanto sopra esposto.
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