Regia di David Robert Mitchell vedi scheda film
It Follows si apre con una scena che in qualche modo chiarifica fin da subito il significato del film, una lenta panoramica circolare che mostra una ragazza scappare impaurita da qualcosa di invisibile, con in sfondo un tipico quartiere di periferia americano. Questa circolarità non è solo una scelta stilistica per presentarci uno dei protagonisti del film, la periferia urbana statunitense, ma un avviso che il film lancia allo spettatore fin dall’inizio.
Il film segue le vicende di un gruppo di ragazzi alle prese con la quotidianità in un mondo che sembra non appartenergli fino in fondo, nel quale si muovono ma quasi da intrusi. È proprio provando a sovvertire questa normalità che Jay, la vera e propria protagonista del film, si ritrova condannata a una sorta di maledizione. Jay compie un atto sessuale con un ragazzo, che però dopo averla narcotizzata le rivela che da quel momento in poi sarà perseguitata da un’entità malefica. Questo è il mostro che dà il titolo al film, un mostro che può assumere le sembianze di chiunque e che seguirà Jay per raggiungerla e poi ucciderla. L’unica possibilità di sfuggire a questa entità è quella di consumare un rapporto sessuale con un’altra persona, in modo di passare la maledizione, come una sorta di malattia sessualmente trasmissibile. “It” è un pronome scelto non a caso, in quanto rappresentazione di un mostro non ben definito e fluido e visibile solamente dalla persona in quel momento presa di mira.
Jay, assieme al suo gruppo di amici che una volta compresa la situazione decidono di aiutarla, si ritrova quindi costantemente in fuga, braccata da un predatore mutevole e difficilmente identificabile.
Questa fuga non è una semplice fuga dalla morte, assume un significato più profondo se vista nel contesto nel quale si svolge il film. I ragazzi vivono in un mondo che non li comprende, o che non vuole comprenderli, lasciati a loro stessi e alle loro paure, alle loro insicurezze. Il mostro non è solo un presagio di morte che si palesa nella testa dei protagonisti che ormai non più bambini ne hanno consapevolezza, ma la rappresentazione di un disagio interiore, individuale e collettivo. È la paura dell’ignoto, del futuro, che si avvicina sempre di più fino a che non li raggiunge, fino a che non c’è più tempo. La paura è quella di diventare come gli adulti che li circondano, che ai loro occhi sono invisibili e che infatti nel film appaiono solo di sfondo, sfocati. Una volta arrivati a quel punto non rimane che la morte.
Questa contrapposizione tra la gioventù alle prese che i propri demoni e il mondo degli adulti richiama molto il classico di Wes Craven “Nightmare”. Anche in quel caso il mondo dei grandi era in contrasto con quello dei ragazzi, non capendoli e nemmeno sforzandosi di farlo, lasciandoli quindi in balia del loro destino. Quello al film del 1984 non è l’unico rimando ai grandi classici del genere, l’America suburbana rappresentata nel film ricorda le strade di “Halloween”, mentre il mostro che può assumere varie forme rimanda a “La Cosa”.
Infatti It Follows si inserisce perfettamente nella nuova corrente horror statunitense che prova a reinventare il genere, sul modello del new horror americano anni ’70, lavorando sulle atmosfere, sul terrore dato dall’ignoto. Dai classici del genere quindi il film non prende soltanto ispirazione, ma impara la lezione e la riadatta alla modernità. La gestione dell’orrore infatti è basata sul non visto, su dei tempi dilatati che aumentano la tensione e sull’uso della colonna sonora che a volte irrompe prepotentemente nella scena, fatta di sintetizzatori che richiamano le musiche di John Carpenter. Il mostro che insegue la protagonista è come un’ombra, un essere che si muove lentamente ma inesorabile, come una sorta di zombie di romeriana memoria. Non viene mai inquadrato a fuoco, è sempre di sfondo, distante ma ingombrante.
Alcune scelte stilistiche aiutano ad accrescere il senso di paura e di disagio, come l’uso di varie panoramiche con la macchina da presa che ruota attorno ai personaggi, facendo provare anche allo spettatore il senso di disorientamento e la perdita di punti di riferimento. Le diverse soggettive dal punto di vista del mostro con dei lenti carelli in avanti e dei lunghi zoom verso i protagonisti creano un grande senso di tensione e rendono perfettamente l’idea dell’inevitabilità della morte che si avvicina. Anche le ambientazioni negli spazi aperti, sempre vasti e a tratti sconfinati restituiscono una sensazione di impossibilità alla fuga, perché ovunque vadano i protagonisti, non importa quanto lontano, prima o poi verranno raggiunti.
La morte si avvicina e Jay e i suoi amici decidono di provare a sconfiggerla, attirando il mostro in una piscina coperta per provare a fulminarlo e in effetti il piano con qualche difficoltà sembra funzionare, il mostro viene ucciso. Successivamente i ragazzi si ritrovano in un ospedale, dove una delle amiche legge un passaggio de “L’idiota” di Dostoevskij: «[…] il dolore essenziale non è affatto quello delle ferite, è il sapere con certezza che fra un’ora, poi fra dieci minuti, poi fra mezzo minuto, poi adesso, ecco proprio ora, l’anima vola via dal corpo e tu come persona non esisterai più, e questo ormai con certezza».
La chiave del film sta proprio in questa citazione. Il mostro non rappresenta la morte, la morte arriva solo alla fine, una volta che il mostro si è avvicinato abbastanza. La certezza è che prima o poi quel momento arriverà. A inseguire Jay sono le paure, i dubbi, che la stanno raggiungendo. Un gioco di paradossi, dove l’avvenire, il futuro, è l’inseguitore e non l’inseguito. In un mondo normale Jay, e con lei tutti gli altri ragazzi dovrebbero essere predatori del proprio destino, non prede. Quello che dovrebbe stare davanti, a portata di mano, pronto a essere raccolto, sta dietro, alle spalle.
“It” è stato veramente sconfitto? L’ultima scena del film vede Jay con il suo nuovo ragazzo che camminano mano nella mano nel tipico quartiere di periferia visto nella scena iniziale. Dietro di loro si intravede una figura, fuori fuoco, che li insegue camminando lentamente. Il film finisce con questa scena ma sembra essere tornato all’inizio, come se il tempo si fosse girato su sé stesso, come il movimento circolare della macchina da presa nel prologo. Non si può di certo sfuggire al mostro, ma si può imparare a conviverci. I due mentre camminano sono felici e incuranti di ciò che gli sta dietro.
Il finale del film è aperto, incerto. La stessa incertezza dalla quale Jay era in fuga e che ora si è lasciata alle spalle.
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