Regia di Robert Bierman vedi scheda film
Imperdibile per gli amanti dei morsi, a livello recitativo, di Nic!
Ebbene oggi, stringatamente ma esaustivamente, disamineremo un film dell’88, ovvero Stress da vampiro (Vampire’s Kiss), erroneamente annoverato e accreditato, invece, su Wikipedia, come facente parte dell’annata 1989.
All’epoca vietato, perlomeno per ciò che concernette il mercato statunitense, ai minori di 14 anni per via d’alcune scene vagamente scabrose e dell’utilizzo d’un linguaggio assai esplicito e, diciamo, eufemisticamente colorito, cioè ripieno di forte turpiloquio e d’espressioni volgari, Stress da vampiro fu diretto da Robert Bierman e sceneggiato da nientepopodimeno che il writer dello splendido e inarrivabile Fuori orario di Martin Scorsese, ovvero Joseph Minion. Già questo basterebbe per smentire lapidariamente la bassissima, irrispettosa e molto ingiusta, complessiva valutazione decisamente insufficiente riscontrata, sul sito aggregatore di medie recensorie, metacritic.com, equivalente allo scarsissimo 30% di opinioni positive, di tale pellicola da noi ivi presa in questione, in quanto invero trattasi d’un film giustamente di culto, come si suol dire. Stress da vampiro dura un’ora e quarantatré minuti netti e folli, grottescamente spassosi e geniali ed è sorretto soprattutto da un’interpretazione memorabile d’un incontenibile, pittoresco e strepitoso Nicolas Cage al top del suo voluto istrionismo sopra le righe e della sua tipica recitazione scalmanata che gli americani definirebbero (in) “overacting”. Ora, se volessimo attenerci alla trama riferitaci da IMDb, sottostante eccola qua:
Dopo un incontro con un vampiro, un dirigente editoriale pensa di stare per trasformarsi in uno di loro.
Tralasciando l’approssimativa e totalmente sballata sinossi fin troppo concisa e imprecisa succitata e integralmente trascrittavi, subito precisiamo, perdonateci per il gioco di parole, che il fantomatico e presunto vampiro, anzi, sopra detta vampira, altri non è che invece una normalissima, sebbene bellissima e avvenente oltre ogni dire, donna sensuale, incarnata dalla mitica Jennifer Beals (Flashdance).
Dunque, usando parole nostre, sintetizzeremo la trama di Stress da vampiro in questi termini...
Uno yuppie di belle speranze, Peter Loew (Cage) incontra in discoteca la misteriosa e, ribadiamo, sexy Rachel (Beals) e ne finisce a letto, consumandone una divorante e caliente notte di passione sfrenata e sessualmente tanto eccitante e vorace quanto inquietante. Sì, perché al suo risveglio, colto da un’incredibile e irrazionale paranoia allucinante, crede di aver giaciuto carnalmente con una non morta, con una Nosferatu in gonnella, pensando pazzamente di essere stato da lei morsicato e contagiato, scambiando un semplice succhiotto per un’azzannatura, giustappunto, vampiresca. Al che, improvvisamente, assolutamente convinto ridicolmente di essersi trasformato e incarnato in un figlio ed epigono sui generis, più che altro decerebrato e degenerato, di Dracula, comincia ad assumere comportamenti strani, per non dire da pazzoide alienato e da demente dissennato. Divenendo fortemente aggressivo nei riguardi, specialmente, dell’affascinante, carina e gentilissima sua segretaria Alva Restrepo (Maria Conchita Alonso), vagando per le strade desolate di New York a notte inoltrata e sostenendo in maniera ininterrotta, con esiti tragicomici, colloqui da squilibrato con la sua personale psichiatra, la sin troppo paziente dottoressa Glaser (Elizabeth Ashley).
Celebre particolarmente per la divertente ma fastidiosa scena in cui Nic Cage mangia davvero uno scarafaggio vivo, Stress da vampiro è, rimarchiamolo, un imprescindibile cult movie, peraltro lodato giustamente dallo stesso Paolo Mereghetti nel suo famoso Dizionario...
Poiché, nella sua scombiccherata eppur al contempo gustosamente miscelata sarabanda di assurdità micidiali e irresistibili, assurge perfettamente a metafora rilevante del confusionario periodo appartenente al cosiddetto edonismo reaganiano per cui l’ambizioso ma fuori di testa personaggio di Peter è archetipico e grandiosamente simbolico d’una irrequietezza psico-sociale riscontrabile a cavallo della fine degli eighties.
Magnifica fotografia di Stefan Czapsky(Edward mani di forbice).
di Stefano Falotico
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