Regia di Myroslav Slaboshpytskyi vedi scheda film
Appena arrivato nel collegio per sordomuti in cui deve alloggiare, un giovane studente si trova coinvolto suo malgrado in una serie di traffici illeciti gestiti da alcuni allievi e da un maturo insegnate di meccanica. Innamoratosi di una delle due studentesse sfruttate come prostitute dal gruppo, decide di ribellarsi ed affrancare la ragazza dalla vita che conduce. La ritorsione degli altri componenti sarà violentissima, come pure la sua vendetta.
Decidere di girare un film utilizzando il linguaggio dei segni e privando al contempo lo spettatore tanto del parlato che dei sottotitoli, ha in sè qualcosa di programmatico e strutturale che finisce per ridefinire a suo modo il concetto stesso di opera cinematografica come messa in scena di una rappresentazione visiva e narrativa in cui la comunicazione non verbale e la gestualità sopperiscono all'incessante flusso di informazioni e caratterizzazioni che normalmente sono affidate alla trama stabilita dai dialoghi o dalla voce narrante, in un circolo virtuoso (vizioso?) che vorrebbe dimostrare come il cinema sia (nato) più come linguaggio dell'immagine in movimento che della parola e come la definizione di un contesto di diversamente abili soggiaccia alle stesse regole (meccaniche) che riguarderebbe un omologo altrove di caratteri parlanti. Stabilito questo assunto che serve subito a disinnescare i facili pregiudizi di una critica cinematografica più che legittima, resta un film che ripercorre le solite dinamiche di un lombrosiano dramma sociale in cui una normale storia di formazione culturale e sentimentale viene sin da subito precipitata nell'abisso di un apprendistato ciminale di violenza e degrado che sembra contaminare 'I Turbamenti di un giovane Torless' non udente con 'I ragazzi della via Pal' in trasferta ucraina e decontestualizzare da un incipit prettamente accademico (la cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico, la routine di rigorose lezioni nella lingua dei segni, la vita da refettorio, etc.) a favore di uno spaccato di marginalità e sfruttamento che sembra togliere realismo e credibilità a tutta la vicenda, facendone un vero e proprio pretesto per la messa in scena di efferatezze e crudeltà che dopo un pò non producono più l'effetto di straniamento e di sconcerto che vorrebbero suscitare (anche scoprire il ruolo del 'referente' della preside e del 'cattivo' maestro a capo della banda non basta a colmare l'evidente gap narrativo).
Ne risulta un film che non ostante le buone intenzioni ed il realismo delle descrizioni sociali (suscita particolare scalpore la scena di una interruzione clandestina di gravidanza con tanto di ferri del mestiere sterilizzati alla bell'è meglio) è fortemente viziato da uno squilibrio tra le sue ragioni politiche (la tratta delle bianche? una teoria di discriminazioni tra discriminati? una enclave di diversamente malvagi?) e la messa in scena di un plot che soffre a più riprese per coerenza e completezza di uno script che finisce per fornire un quadro frammentario, se non episodico, di scorribande criminali ed amplessi tribadisti, di dopolavoro malavitoso e geranchia del potere, cruente ritorsioni e ferale vendetta.
Tutto già visto altrove e meglio senza che l'assenza dei dialoghi e l'assordante silenzio della comunicazione non verbale sia un valido pretesto per una dichiarazione di stile che non siamo riusciti a 'sentire' bene, piuttosto che lo pseudo-rigore di estenuanti piani fissi in campo medio quale dichiarazione d'intenti di un naturalismo che accolga nel perimetro di un orizzonte bastevole la semiologia di un universo di esseri gesticolanti. Attori giovani e bene in parte ed un regista quarantenne al suo esordio nel lungo che gira i festival di mezzo mondo facendo incetta di premi tra cui ben tre a Cannes 2014 ('cannando' la Camera d'Or per l'opera prima!) e miglior film sperimentale al Sitges - Catalonian International Film Festival 2014.
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