Regia di Myroslav Slaboshpytskyi vedi scheda film
THE TRIBE è un'esperienza da fare. Bisogna perdersi in questo oscuro paese del silenzio, aspettare che i sensi si adattino alle coordinate e vedere che succede.
Siamo con Sergey al suo arrivo in un istituto per giovani sordomuti. Siamo come lui disorientati, non abbiamo informazioni, dobbiamo interpretare i segnali. C'è una strisciante angoscia nell'essere per una volta quelli esclusi sistematicamente dalla comunicazione, nell'essere sordi con i sensi accesi. Tutte le intenzioni, le emozioni, i richiami, il fiume di legami umani che conosciamo scorre sotto la banalità dei rumori di fondo, invisibile all'importanza. Le conseguenze non risuonano. I crimini non richiamano attenzione.
In compagnia dei lupi. Per capirli interpretiamo i loro movimenti. Sono come un branco nel suo territorio, si muovono in branco con gerarchie accettate, percorsi segnati, riti e prove di forza. I più deboli sono usati, le più deboli sono usate e hanno accettato il loro ruolo. Sembrano leggi di natura. Il mondo attorno non esiste, respinge ed è respinto. È solo un terreno di caccia che dà il suo silenzio-assenso ad essere predato. Se fa una vittima gli altri non perderanno tempo a piangerla.
A scardinare le leggi è immancabilmente il desiderio. Sergey paga per stare con Anya, una delle ragazze dell'istituto che il branco e un professore fanno prostituire nottetempo. In un mondo silenzioso il desiderio fa gridare il sangue, la carne comunica bisogni inattesi, vitali e scomposti. Anche Anya si lascia coinvolgere. Sergey la cerca, la corteggia, la lusinga, la rivendica, la stupra (esiste lo stupro tra i lupi?). Le reazioni del branco saranno inevitabili.
La trama comunque non può dire abbastanza. Per quanto svolte e sviluppi siano forse anche ipotizzabili o prevedibili (secondo leggi di natura), ciò che non è assolutamente raccontabile e prevedibile è la "condizione" in cui si arriva a usufruirne, il cambiamento a cui il film ti costringe. In tempi di 3D e brutalità audiolesive che saturano i sensi e fan strage della capacità di sorprendersi, THE TRIBE opera un'intelligente inversione di rotta nel segno della privazione che, per così dire, ripulisce e acuisce le percezioni. La nostra attenzione viene da un lato stimolata dalla necessità di interpretare ciò che vediamo, gli occhi si incollano ai volti, a espressioni che per altro non corrispondono esattamente a quelle cui siamo abituati e quindi ci tengono sul chi vive (...senza considerare le carenze recitative, che però in questo "sistema alieno" si mimetizzano abilmente). E poi, soprattutto, il nostro stremato udito va in ritiro depurativo, abituandosi a un microcosmo che ha i suoi picchi in mugugni strozzati, tonfi sordi di pugni e passi, mani che schiaffeggiano parole, respiri alterati, sbuffi e soffi. Con questi nuovi finissimi parametri interiorizzati non c'è da stupirsi della potenza inaudita e "fuori scala" che sperimentiamo nei respiri grossi di un amplesso, nell'agonia e nel pianto di una ragazza, nel suono della violenza fisica più cruda.
Il silenzio è parte di questo spartito filmico così come le pause sono musica. La rinuncia ai sottotitoli scaturisce naturalmente dal tema ed è pienamente attinente alla radicalità emotiva che mette in scena. THE TRIBE è un'esperienza da fare perchè riesce, tramite quest'unico semplice accorgimento, a coinvolgerci nella sensazione nota ai protagonisti di essere immersi in un mondo muto e ostile, e ci regala infine la salutare e rara occasione di poter ridare un senso pieno, ripulito da distrazioni e assuefazione, alla brutalità di un gesto e alla sofferenza di una persona.
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