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The Tribe

Regia di Myroslav Slaboshpytskyi vedi scheda film

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Leo Maltin

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La recensione su The Tribe

di Leo Maltin
8 stelle

Coraggioso esperimento filmico che, utilizzando esclusivamente la lingua dei segni, sfida la capacità mnemonico intuitiva dello spettatore medio normodotato. Privo di qualsiasi didascalia, tutta la comprensione del non detto è affidata al potere delle immagini. L’assenza dei sottotitoli rende diversamente abile proprio il pubblico “normale”, costretto a prestare maggiore attenzione e immaginare dialoghi verosimili. L’autore del film spazza via decenni di sociologismo d’accatto che pretende(va) di etichettare i portatori di handicap come poveri disgraziati. Ma la dura realtà mostrata in questo studio antropologico non lascia dubbi: dal punto di vista fisico-emozionale, essi sono esattamente “normali”.

Queste persone (si) amano: in assenza della parola, il protagonista manifesta tale sentimento sia con baci, abbracci, carezze ma soprattutto – l’aspetto più importante – facendo sesso: i campioni del buonismo devono rassegnarsi loro malgrado al fatto che TUTTI gli esseri umani, normodotati o meno, provino il bisogno fisiologico che li porta alla ricerca del piacere fine a sé stesso.

Queste persone soffrono: tale ragazzo, nuovo arrivato nella struttura scolastica che ospita una piccola comunità di sordomuti, fatica a inserirsi nelle dinamiche sociali del gruppo di suoi coetanei, dedito a furti, pestaggi e prostituzione (alle due ragazze della gang i clienti vengono rimediati in un’area di sosta per anonimi camionisti).

Queste persone (si) fanno del male: non riuscendo a integrarsi nel branco di suoi pari, il giovane maschio segue una personale e pericolosa strada alla ricerca della propria identità, diverso pur tra i suoi simili.

Tutto ciò avviene in maniera assolutamente naturale.

La fastidiosa propensione al pietismo verso questi soggetti viene sostituita dalla scientifica registrazione del loro mondo, seguendo quindi di fatto il loro unico codice comunicativo (la lingua dei segni, appunto). L’uso del piano sequenza come compiuta forma espressiva ricorda la compilazione dei paragrafi di una relazione-inchiesta in cui vengono analizzati i vari aspetti di un quadro sociale ben preciso. Come se Dickens riscrivesse Oliver Twist senza alcun intento di riscatto.

Questi individui non sono affatto Figli di un dio minore.

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