Regia di Myroslav Slaboshpytskyi vedi scheda film
Conosciamo a memoria la retorica della malattia di matrice hollywoodiana e di come l’industria cinematografica l’abbia sfruttata per costruire progetti in grado di accattivarsi l’empatia dello spettatore, prostrato e insieme commosso da una miriade di interpretazioni strappalacrime. Uno schema talmente consolidato da indurci a pensare che non ci fosse altra possibilità di sguardo e di considerazione; fino all'uscita di due opere che nell'ambito di una stagione comunque normalizzata dalla presenza di prodotti accondiscendenti e rassicuranti ( "La teoria del tutto") il coraggio di raccontare la disabilità da un punto di vista non necessariamente conformista. Del polacco "Io sono Mateusz"” avevamo già parlato in occasione della sua uscita nelle sale italiane, mentre di “The Tribe” conoscevamo il clamore suscitato durante l’anteprima avvenuta nell'edizione di Cannes della scorsa edizione. In quel frangente, a scuotere la routine festivaliera era stata non solo la scelta di presentare senza alcun sottotitolo un film interpretato da attori non udenti e quindi decifrabile solo da chi fosse stato a conoscenza del linguaggio dei segni utilizzato dagli attori; a destare scalpore era stato piuttosto la visione cruda e senza alcuna mediazione della diversità fisica, asciugata da qualsiasi enfasi pietistica e invece descritta come valore fondante, e diremo discriminante, di un sodalizio dedito a qualsiasi tipo di violenza e aberrazione. Il film di Myroslav Slaboshpytskiy racconta le giornate di un istituto per sordomuti e di un gruppo di studenti che nelle ore extrascolastiche organizza una serie di azioni criminose che, alla pari di una qualsiasi struttura malavitosa, sono il risultato di una struttura clanica perfettamente gerarchizzata quanto efficace nel mettere in piedi attività illecite che vanno dalla vendita illegale al latrocinio e persino alla prostituzione, realizzata con la collaborazione di alcune coetanee a dir poco generose.
Alla stregua di in un dramma shakesperiano “The Tribe” segue l’ascesa e la caduta di quel “regno” descrivendone le leggi e i meccanismi che lo regolano in una modo che si avvicina a quello usato da Martin Scorsese per raccontare la "sua" Little Italy. A fare la differenza in questo caso non è solo l’estetica, dominata dalla ferinità dei corpi e da una messa in scena scarna, in cui a colpi di piani sequenza (fissi e mobili) protagonisti e ambiente vengono refertati da una mdp che lavora con precisione da entomologo. Diversamente dalla maggior parte dei prodotti in circolazione “The Tribe” non impone alcuna censura ai suoi criteri di rappresentazione, filmando un viaggio all'inferno che non arretra neanche quando si tratta di mostrare in tutta la sua drammaticità i dettagli di un aborto illegale che fa sembra quello di “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” una versione per educande. Slaboshpytskiy è bravo a realizzare lo scarto che permette al film di spostare l’interesse del pubblico sugli aspetti sociali e antropologici della vicenda, mettendo in secondo piano le peculiarità del linguaggio che entrano in gioco non più come denuncia di una menomazione fisica ma come segno distintivo di un' alterità che la gang di giovinastri persegue con scientifico accanimento. Coercitivo e discutibile ma non per questo meno interessante - soprattutto nella decisione di collocare la violenza proprio nel cuore del sistema educativo che fa di tutto per bandirla - “The Tribe” deve molto al suo andamento circolare, fatto di escursioni che, ritornando ogni volta al punto di partenza -rappresentato dalla casa istituto - ne circoscrivono il campo d'azione, isolandolo dal resto del contesto. La conseguenza, invero paradossale per il realismo del contesto, è un livello d'astrazione che amplia i significati della vicenda. Basti pensare alla fatiscenza degli ambienti, decadenti e rovinosi, e alla visione materialistica dell'esistenza, giustificata esclusivamente da principi mercantili e di sopraffazione, per capire quanto "The Tribe" sia lo specchio di quello che accade in questi giorni in Ucraina, paese produttore di un film che vale la pena di andare a vedere.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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