Regia di Myroslav Slaboshpytskyi vedi scheda film
«Questo film è nel linguaggio dei segni dei sordomuti. Di proposito non vi sono traduzione, né sottotitoli, né voce over». La dichiarazione d’intenti, che apre il debutto nel lungo dell’ucraino Slaboshpitsky, è chiara: viene lanciata una sfida sul piano del linguaggio e della decodifica. Il risultato è l’alienazione spettatoriale, uguale e contraria a quella provata dai sordomuti in contesti ordinari. Abituato a un cinema che trae senso (soprattutto) dalla sua traccia sonora, il pubblico è catapultato in un universo filmico costruito interamente sull’immagine, i suoi simboli, i suoi scarti e disavanzi, i suoi dispositivi di decifrazione dei significati. Come ai tempi del muto, ma senza artifici espressionisti o costruzioni avanguardiste, semplicemente con la forza di una macchina da presa attaccata a personaggi che si muovono in un reale periferico, squallido e cinico. In una scuola per sordomuti si consumano vicende di quotidiana sopraffazione tra ragazzi e ragazze: è un’incursione nel degrado giovanile che postula l’emarginazione dovuta all’handicap come punto di partenza per relegare fuori quadro ciò che non fa parte del microcosmo in cortocircuito. Bullismo, prostituzione e criminalità, ma nella discesa verso un finale senza speranza trova spazio anche l’amore, ai margini di una crudeltà grafica che non risparmia dieci minuti di aborto clandestino. E di un minutaggio fluviale che denuncia scarsa capacità di sintesi.
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