Regia di Benjamin Christensen vedi scheda film
Eccellenti e pionieristici sia l'apparato visivo-iconografico, un gotico macabro prototipale, che la tecnica interpretativa degli attori (i due must del cinema muto scandinavo), buona perizia registica e audaci soluzioni avanguardistiche da proto-genere sexy-horror (pur non integrate alla perfezione nella trama), mentre solo discreta appare la tenuta generale del ritmo e assai meno efficace l'aspetto tematico del film, piuttosto confuso tra intenti storico-documentaristici, denuncia (blanda) delle superstizioni e stigmatizzazione (forte) delle nefandezze inquisitorie.
Dal testo emerge, soprattutto nel finale, una visione maschilista (fallocentrica si sarebbe detto qualche decade fa) in grado di spingersi fino al becero e ormai confutato parallelismo tra satanismo medievale e "isteria femminile" moderna, con la donna rappresentata nel corso dei tempi come il soggetto fragile e vulnerabile, vittima predestinata delle peggiori perversioni istintuali.
Da questo punto di vista "Haxan" assume a sua volta la funzione di reperto storico per come esplicita un'ottica pseudo-scientifica ancora diffusa e seguita nella società degli anni "20, persino in un mondo scandinavo così sensibile alla parità sessuale, al laicismo, alla rigorosa applicazione di metodologie epistemologiche.
Considerato come l'isteria femminile, da Charcot in poi, abbia finito per essere progressivamente declassata a patologia arcaica diagnosticata con criteri del tutto inattendibili, quando non di esplicita convenienza politico-religiosa (scomparendo del tutto dal vocabolario terminologico delle malattie mentali nel 1987), non stupisce che già nel 1941 lo stesso Christensen avesse tentato di eliminare l'ultima, debolissima, parte del film, senza riuscirvi.
Opera comunque valida e ricca di fascinazione estetica.
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