Regia di Benjamin Christensen vedi scheda film
Inquietante e visionario docu-drama realizzato nel 1922, dopo due anni di ricerche e riprese, dal danese Benjamin Christensen, attore, regista, cantante lirico (impressionò per le sue abilità canore addirittura Enrico Caruso): girato negli studi di Christensen in Danimarca nonostante sia stato finanziato interamente con capitali svedesi, La stregoneria attraverso i secoli ricostruisce con una sorprendente varietà di stili e tecniche (dall'approccio didattico all'inchiesta storica, sino alla fiction vera e propria) la storia dell'adorazione per il diavolo, i malefici, la possessione, le persecuzioni e i processi alle streghe, dalla Persia e l'antico Egitto fino al ventesimo secolo. In realtà l'accuratezza e l'attendibilità dell'apporto storiografico all'argomento, che pesca a piene mani da uno dei testi fondamentali utilizzati dagli inquisitori, quel Martello delle streghe (o Malleus Maleficarum) scritto nel 1486 dai teologi domenicani Heinrich I. Krämer e Jacob Sprenger con la benedizione del papa Innocenzo VIII e dell'imperatore Massimiliano I d'Austria e contenente un vero e proprio manuale su streghe, malefici, metodi di riconoscimento e di interrogatorio con relative pratiche di tortura, non costituisce il principale motivo di interesse del film, trattandosi comunque di una personale rielaborazione operata dall'autore sugli aspetti e l'aneddotica più comunemente noti sulla stregoneria: assai più rilevante, invece, risulta il decòr visivo in cui è immerso il film, che, grazie all'apporto fondamentale delle suggestive scenografie curate da Richard Louw e delle atmosfere da incubo evocate dalla fotografia spettrale firmata da Johan Ankerstjerne, trasfigura l'iconografia popolare sull'argomento in un delirante e vorticoso incubo ad occhi aperti, un oscuro ed abominevole universo devastato da lussuria, perversioni, torture, roghi, sacrifici umani, flagellazioni e mutilazioni, sabba scatenati, visioni apocalittiche e disperazione. Crudo, profondamente anticlericale (tanto da scatenare una vera e propria crociata di "benpensanti" che ne impedì la circolazione negli Stati Uniti per decenni), formalmente smagliante nelle sue oniriche movenze, sospeso tra echi e suggestioni della pittura fiamminga (da Jan Van Eyck e Rogier Van Der Weyden fino a Pieter Bruegel e Hieronymus Bosch) e macabri scarti umoristici (con Christensen che si ritaglia anche una doppia apparizione, prima nei panni del diavolo e poi di Cristo) a stemperarne le atmosfere gotiche ed allucinate, il film giunge a conclusione trasportando lo spettatore nel ventesimo secolo e collegando le superstizioni del passato con le malattie del presente ed equiparando l'isteria e lo squilibrio psichico alla possessione diabolica medievale. Non completamente soddisfatto dei toni di quest'ultima parte (che in effetti smarrisce linearità e congruenza paragonando inizialmente lo psicanalista a Satana per poi considerarlo come unica fonte di salvezza), lo stesso Christensen, in occasione della riedizione del film nel 1941 in Danimarca, meditò, salvo poi desistere dal proposito, di sforbiciarne le sequenze ambientate nel presente (ma la versione sonorizzata approntata a fine anni Sessanta, che si avvalse, tra l'altro, in luogo delle didascalie, del commento di William S. Burroughs, risulterà accorciata di quasi mezz'ora). "Il diavolo è ovunque e assume qualsiasi forma. Appare come un incubo, come un demone furioso, un seduttore, un amante, un cavaliere. La compagna del diavolo può essere giovane e bellissima, ma è più spesso vecchia, povera e miserabile. È per l'eterna paura del rogo che ti ubriachi ogni notte, povera vecchia donna del Medioevo?".
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