Regia di Ossama Mohammed, Wiam Bedirxan vedi scheda film
«Ho visto tutto. Tutto». «No, tu non hai visto niente a Homs. Niente». Ossama Mohammed guarda la Siria dall’esilio parigino: i video diffusi sul web, i corpi torturati, le macerie a cui sono ridotte le città. Silvered Water è, come dice il sottotitolo, un autoritratto. Sono mille e uno frammenti di guerra siriana, registrati nel centro del conflitto, da mille e uno sguardi (il cinema della vittima, il cinema del carnefice...), e messi online: sono stralci osceni sul reale perché è oscena ogni immagine di morte, sono squarci violenti e urlanti, verissimi anche dietro l’approssimazione dei pixel, oltre l’eccesso di movimento che sforma la traccia digitale di questa tragedia certissima, facendo delle immagini quadri astratti, formalisti, immorali. Ossama Mohammed è qui, nello stallo - estetico e politico - di chi vede tutto, ma non lo vede che in immagine, e, dunque, non vede niente. Resnais e Hiroshima: qui è Homs mon amour. Silvered Water è un dialogo a due - tra il registra e Simav, giovane curda (il cui nome sta per «acqua argentata»), che filma per lui Homs in rovina -, un lamento nel caos percettivo di bombe ed email, di pixel e morte, una potentissima lirica che cerca (con lo struggimento del regista lontano, con la presenza di Simav, con questi io piangenti) di risensibilizzare immagini di guerra, immagini che forse abbiamo già visto distrattamente in tv, o che sono durate il tempo di uno sdegno e un cruccio etico, dimenticato al clic successivo.
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