Regia di Damián Szifron vedi scheda film
In attesa che escano (da domani) sugli schermi tre pellicole che finalmente saranno all'altezza di un cinema veramente "delle feste" (Disney, Salvatores e Fincher), la settimana passata sono arrivati nelle sale solo una paio di orrendi cinepanettoni che -ovviamente!- sono schizzati subito al top del box office. Al punto che negli ultimi giorni si rischiava davvero il vuoto d'interesse nelle nostre multisale. Ma per quanto mi riguarda a salvarmi la vita ecco l'occasione per recuperare questo gioiellino di buon gusto che stava per esser tolto dalle programmazioni per far posto al nuovo blocco natalizio. Si tratta di una produzione argentina curata da Almodovar e diretta da tale Damian Szifron. Il film ha avuto tra l'altro un percorso distributivo piuttosto bizzarro. Posto che a distribuirlo è stata la benemerita Lucky Red dell'ottimo Andrea Occhipinti, il film era annunciato da regolari cartelli in tantissime multisale, salvo poi -a pochi giorni dalla data d'uscita- ritirarne inspiegabilmente la programmazione. Insomma pare che sia uscito in un numero di sale molto inferiore al previsto e questo resterà per me un mistero. Il cinefilo farà inevitabilmente qualche collegamento, soprattutto per la struttura ad episodi. Per esempio il cinema italiano degli anni 60, oltre che per gli episodi anche per la carica di grottesco cinismo (vedi Dino Risi). Poi certe esperienze americane tipo "Twilight Zone" o ancor di più le "Storie Incredibili" di Spielberg senza dimenticare una certa vena macabra surreale di marca hitchcockiana, insomma il miglior cinema del mistero, dell'insolito e dell'irrazionale. A dominare su tutto è la cattiveria, l'animo umano che -partendo da una supposta normalità- precipita e trascende nella follìa, nella pura dinamica della vendetta brutale, nel delirio della scoperta dell'Odio. E questi meccanismi delicati quanto profondi e suggestivi sono raccontati con tocco geniale, talvolta quasi con grazia nonostante la deriva di crudeltà sempre dietro l'angolo (ma allora...vien da chiedersi...l'uomo è veramente una bestia?). Il regista sembra non avere dubbi in proposito, delineando una galleria di personaggi miserabili che -quando si attuano determinati corti circuiti- si mostrano per quello che sono, capaci di gesti inenarrabili ed estremi. Poi subentrano, in questo quadro, elementi intriganti come la casualità, che può generare derive reali che mai avremmo immaginato possibili. Insomma, tutto quello che ho appena descritto, concorre a fare di "Storie Pazzesche" un film assolutamente intrigante sul piano narrativo. E qui sorge un problema: si tratta di sei episodi uno più accattivante dell'altro e sarebbe un peccato raccontarne la sostanza, per cui mi limiterò ad abbozzarne i punti di partenza escludendone qui qualsiasi sviluppo o dettaglio. Un aereo dove emerge tra i passeggeri qualcosa di tremendamente inquietante. Una locanda ai confini del mondo dove si consuma una tragedia di sangue. Un uomo piccolo piccolo sovrastato da un apparato statale di Potere che ne fa un mostro distruttivo. Due automobilisti che -partendo da una banale lite "stradale"- finiscono per trascendere in una gara di sopravvivenza con esito tragico. Un padre di famiglia che -messo di fronte ad un caso drammatico che investe il figlio- scopre aspetti di sè profondamente ipocriti che non conosceva e soprattutto scopre l'ipocrisia di chi lo circonda nel quotidiano. E infine un sontuoso matrimonio che si trasforma in un delirio di odio e in un'esplosione di furioso rancore. Tutti gli episodi sono gustosi e .schiedo scusa se sono ripetitivo- soprattutto "intriganti", che questo è il termine che più trovo idoneo nel mio approccio all'opera. Dimenticavo un dettaglio che -nel contesto- non è affatto secondario: delle musiche scelte con amabile buon gusto, che richiamano spesso (cosa dicevo all'inizio?) certi cocktail musicali alla Piero Umiliani. Quanto agli attori, tutti straordinari nei loro ritratti di esseri umani imperfetti e deboli, credo si tratti di interpreti per lo più argentini o spagnoli, e qualcuno riconoscerà agevolmente volti e sembianze ricorrenti nel cinema di Almodovar. Io credo che -e il concetto non è così banale come può sembrare- in queste giornate di regali e di scambi affettuosi, vivere al cinema un'esperienza (ancorchè in forma di fiction) così ferocemente destabilizzante potrà sortire quasi un effetto beneficamente liberatorio. Perchè il film questo è: poesia della rabbia e della barbarie di questi tempi di civiltà in erosione e di consapevolezze sopite. Qua e là i fuochi fatui del rancore, ma solo piccoli fuochi. Lo chiamano Umorismo Nero e Almodovar lo conosce molto bene.
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