Regia di Marco Daffra vedi scheda film
A leggerne sulla carta, Uscio e bottega non può che provocare un brivido di tenerezza: un budget autofinanziato, uno stuolo di caratteristi toscani che accerchia il protagonista assoluto, Brunetto Salvini, classe 1927, interprete riconosciuto di vernacolo fiorentino. Uscio e bottega - che lungo l’Arno sta per “porta a porta” - è tratto da un soggetto dello stesso Salvini e racconta la storia di un vecchietto senza peli sulla lingua che finisce a dirne quattro ai conduttori e agli ospiti di un seguitissimo talk show nazionale. E in seguito viene convocato dal papa in persona (che ha il volto di Carlo Monni, nella sua ultima apparizione cinematografica) e ne dice quattro anche a lui. Ogni moto di simpatia scompare, però, durante la visione, che rivela un’amatorialità di realizzazione (se la camera si azzarda oltre un piano medio, si può star certi che l’inquadratura s’impalli) e di scrittura (il ritmo inesistente uccide ogni tentativo di suscitare il sorriso) imperdonabilmente imbarazzante. Il film si apre con un’infinita e smarmellata serie di panoramiche su Firenze (con tanto di canzone celebrativa e fuochi d’artificio), allinea tanti mini-spot di attività commerciali cittadine, si giova della voce narrante di Carlo Conti e di camei di Giorgio Panariello e Giancarlo Antognoni: tra un picco d’incredulità e l’altro, l’ingenuità disarmante di un gruppo d’attori apparentemente incosapevoli di quel che fanno. Speriamo almeno che si siano divertiti. Noi no.
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