Regia di Rafaël Ouellet vedi scheda film
Bastano poche scene iniziali a farmi venire in mente La vie d'Adèle. E poche altre a farmelo dimenticare, ma è facile, perché non l'ho amato. Quelli che nel film di Kechiche erano artifizi registici poco originali e molto abusati, qui sono usati in maniera estremamente intelligente. Tecnicamente meno originale, magari, questo Derrière moi. Ma immediatamente intenso. Il blu di Adèle voleva essere un colore caldo e invece finiva per essere ghiaccio secco. Calda e accogliente, invece, questa fotografia dai colori idealmente pastello, ma in realtà desaturati quasi al limite del bianco e nero, restituiscono una tale impressione di realtà da attirare lo spettatore in un vortice, nello stesso modo in cui la protagonista adolescente, Lea, viene irretita dalle paillettes di Betty restando apparentemente vigile ma in realtà abbandonando presto le proprie iniziali perplessità e convinzioni lucide.
La macchina da presa oscilla un po' ubriaca sui volti e sui corpi, e con il suo occhio molesto scruta alla ricerca di un'intimità suggerita. Null'altro mostra: eppure ogni inquadratura trasuda erotismo e attesa, che in fondo sono la stessa cosa. Come nessun amplesso esibito (mi riferisco sempre ad Adèle) potrà mai fare.
Intelligente, non accomodante, non consolatorio. Le due attrici (oltre ad essere stupende, ma importa poco) sono intense e in magica sintonia.
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