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The President

Regia di Mohsen Makhmalbaf vedi scheda film

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La recensione su The President

di OGM
7 stelle

Il potere e il suo declino spiegati ad un bambino: una magica banalità che col tempo rivela la sua faccia nascosta, fatta di incomprensibili “cose da grandi”, spesso infinitamente crudeli. L’anziano dittatore di un paese di fantasia viene improvvisamente deposto. Si ritrova così costretto a fuggire, sotto mentite spoglie, insieme al nipotino. Il re diventa un vagabondo, un pastore, un ex detenuto politico, dunque un rappresentante del popolo oppresso, del quale, durante il tragitto, impara a condividere la sorte. Ora che il vecchio sovrano non è più nessuno, la realtà smette per lui di avere segreti: lui adesso è lì, in mezzo alla sofferenza e alla povertà, dalla parte delle vittime degli abusi di ogni genere, laddove non esiste limite al sadismo. Può infine toccare con mano ciò di cui, in tanti anni, è stato la causa primaria: persecuzioni ed ingiustizie passate sotto silenzio, tentativi di rivolta soffocati nel sangue. È come se vedesse tutto ciò per la prima volta, pur essendone sempre stato a perfetta conoscenza: la verità comincia infatti ad essere tale solo nel momento in cui se ne è testimoni diretti, esposti alle sue conseguenze, senza possibilità di sfuggire alle sue spietate rese dei conti. Il gioco si fa serio, le carte vengono tutte scoperte, il punteggio si azzera e la distinzione tra vincitori e dei vinti è una questione aperta, da ripensare daccapo, da risolvere alla fine del caos che sta rimettendo tutto in discussione. L’ex presidente affronta la novità con la sua saggezza di uomo maturo, ma anche con lo stupore del bimbo che lo accompagna, a cui bisogna raccontare i retroscena della favola che si svolge sotto i suoi occhi, compresi i suoi risvolti più cattivi. Ciò che avviene è terribile, ed egli se ne accorge ogni volta che deve invitare il bambino a non guardare, a voltarsi dall’altra parte, perché qualcuno è morto, qualcun altro è stato torturato,  e c’è del sangue che può fare impressione. Intanto gli eventi incalzano, le brutture risultano via via più esplicite, mano a mano che l’odissea dei due protagonisti si addentra nelle viscere di una terra messa in ginocchio dagli effetti di una lunga tirannia.  Il viaggio di scoperta è una guerra, una continua lotta contro nemici reali o potenziali, esattamente come l’avventura di Ulisse, che porta un naufrago attraverso un mondo cosparso di intriganti curiosità, ma invariabilmente ostile, di fronte al quale ci si può salvare solo con l’astuzia e la menzogna. Il dominatore spodestato si è ridotto al ruolo dell’intruso, catapultato dentro una vita non sua, piena di nefandezze di cui, in questo caso, egli è il diretto responsabile. L’ex presidente è l’alieno che, suo malgrado, visita l’ignoto pianeta della miseria: un universo che per un giovane rampollo della sua stirpe può apparire come un territorio immaginario da esplorare, con il gusto del travestimento e della finzione, senza necessariamente pretendere di capire tutto. Il pensiero corre, forse un po’ avventatamente, all’idea di fondo de La vita è bella,  in cui l’assurdo si presta ad essere convertito in una costruzione fantastica, che distoglie, per la sua natura surreale, dalla necessità di individuarvi un senso. Il parallelo con il film di Benigni regge però soltanto fino a che il confronto non investe il piano estetico: Mohsen Makhmalbaf rinuncia, infatti, alla confortante bellezza derivante dal sorriso, dall’innocenza inviolata, dallo spirito divertito che sfida l’orrore. Qui l’elemento grottesco non riesce a celarsi dietro il velo dello scherzo, perché la forza dell’evidenza lo spinge verso il proscenio, la posizione occupata dalle due figure principali. Il bambino di questa storia non è, infatti, uno dei tanti: è l’erede di sua maestà, a cui, anche nella rivoluzione, spetta il posto in prima fila, sulla linea del fronte, dove il pericolo è maggiore e si compiono i fatti più cruenti. La visione lievemente allucinata che conferisce all’opera una cadenza da teatrino satirico  è quella prodotta da uno sguardo attonito e incredulo, spettatore di una normalità capovolta, in cui tutto appare follemente illogico, pur mantenendo vaghi accenti familiari. È uno scenario da Guernica offerto allo sguardo di un bambino: uno strano collage di forme che possono sembrare studiatamente mostruose o ingenuamente imperfette, a seconda di come le si voglia inquadrare.  

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